Il caso Toti e lo squilibrio dei poteri

Il problema è serio: se coinvolto in un’indagine penale un politico deve rinunciare al suo ruolo e mettersi da parte? Non si tratta di una banale sospensione. Incrinata la sua credibilità diventa molto difficile ricostruirla anche se le accuse si rivelano infondate perché svolge un’attività inserita nel tempo presente e non segue una carriera predeterminata. Il problema è serio perché chi muove le accuse – i PM – non risponde mai dei propri errori. La finzione dell’obbligatorietà dell’azione penale copre una scelta che è sempre discrezionale. Si può giungere ad affermare che un PM che inventa un’ipotesi di reato al solo fine di colpire una parte politica vede sicuramente la sua inchiesta bloccata da un giudice prima o poi, ma nel frattempo gli indagati sono pubblicamente sotto accusa e l’opinione pubblica si forma un’idea sulla base di ciò che scrivono e dicono i giornalisti che hanno un ruolo determinante nel montare i processi mediatici. Il discredito è certo ed immediato; la riabilitazione incerta e rinviata ad un tempo lontano. E i PM? Come nulla fosse riprendono la loro carriera (ci ricordiamo del caso Tortora?).

Ogni sistema democratico si basa su un equilibrio dei poteri. Da anni in Italia si è affermato uno squilibrio che favorisce una parte della magistratura blindata in un meccanismo autoreferenziale che giudica sé stesso. Sarebbe ora di separare la magistratura giudicante dalle Procure.

15 maggio 2024

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