Il copione della crisi e il progetto che manca (di Claudio Lombardi)
Esplosione della crisi, spesa pubblica, debito degli stati, tagli ai servizi e alle prestazioni, diminuzione di stipendi e salari, chiusura di aziende. Questo il film che va in scena da anni, ma la realtà è un’altra: la lotta per il controllo delle risorse ha visto vincenti i ceti più alti, i grandi ricchi e le loro organizzazioni finanziarie.
Una follia che non risponde ad alcuna razionalità e che si traduce in un fiume di ricchezza a favore di pochi e nella enorme disuguaglianza che colpisce tutti gli altri, frena le economie e impoverisce i bilanci degli stati.
È di oggi la notizia che negli USA le retribuzioni dei top manager sono volate a livelli stratosferici a prescindere dal raggiungimento di risultati finanziari ed industriali delle società da loro dirette. Il dato che colpisce è che negli USA negli ultimi quattro anni gli stipendi medi sono cresciuti del 6%; quelli dell’1% più pagato sono aumentati del 31,4%, e tutti gli altri (il “famoso” 99%) hanno avuto un misero +0,4% che, tolta l’inflazione, si è tradotto in una diminuzione netta del potere di acquisto.
A dare l’idea della follia di un sistema ormai in preda all’anarchia basta leggere che alcuni top manager hanno superato il muro del miliardo di dollari l’anno e che nessuno del gruppo di testa è sceso sotto la “soglia” dei cento milioni di dollari.
Situazioni simili (ma non così esagerate) si trovano anche in Europa e, ovviamente, anche in Italia con la particolarità che da noi il peso della rete di relazioni e protezioni politiche costituisce una condizione imprescindibile per scalare la vetta delle retribuzioni. La cosa non riguarda la massa delle piccole aziende e degli artigiani che devono cavarsela da soli mentre le grandi aziende stanno dentro quel capitalismo di relazione nel quale i vertici cadono sempre in piedi. Forse il caso dei Riva con l’ILVA è il primo nel quale il meccanismo delle protezioni si è inceppato.
Il fatto è che con il nome di mercato si è chiamato l’arbitrio di chi vuole sfuggire a qualunque valutazione dei meriti e delle capacità. Nel passato l’equilibrio era assicurato da una relativa moderazione dei guadagni al top (il famoso rapporto tra salario del lavoratore e amministratore delegato si misurava in decine di volte invece che in centinaia come oggi) e da una distribuzione di vantaggi per ampi strati sociali. Dove non arrivava il debito pubblico arrivava l’evasione fiscale.
Oggi l’equilibrio è saltato e la redistribuzione a rovescio (dal povero al benestante) scatenata dalla speculazione nel passaggio lira-euro da parte di chi aveva il potere di fissare i prezzi verso chi non poteva decidere il livello dei suoi guadagni ha contribuito all’impoverimento generale. La crisi delle retribuzioni che colpisce ormai indifferentemente salariati e stipendiati e culmina con le paghe ridicole di tanti giovani assunti con i contratti precari (quando ci sono i contratti) ha spinto verso il basso persone che si consideravano ceto medio o che aspiravano ad esserlo.
Il blocco dei contratti del pubblico impiego che si ripete anche nella legge di stabilità presentata al Parlamento insieme al taglio dei servizi (ormai una realtà specie in sanità e nel trasporto) esemplifica il regresso di milioni di persone verso condizioni di vita peggiori di quelle del passato. Conseguenza inevitabile il rallentamento del mercato interno ed l’ulteriore irrazionalità di scelte politiche che trasmettono l’illusione di un abbassamento generalizzato delle tasse mentre creano le condizioni per il loro ulteriore incremento.
Fino a che non si imporrà con i voti e con la partecipazione dei cittadini un progetto politico che metta assieme economia, diritti, etica pubblica, legalità, lavoro non si uscirà dal film della crisi. Nulla di straordinario, basterebbe prendere i principi della prima parte della Costituzione, attualizzarli e avere il coraggio di tradurli in decisioni e scelte politiche. Per questo però ci vogliono formazioni politiche e organizzazioni della società civile capaci di guardare lontano e di uscire dalle meschinità degli interessi di bottega.
Claudio Lombardi
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