Il diritto-dovere di “chiedere conto”. Cittadini competenti per istituzioni responsabili (di Angelo Tanese)
Le recenti notizie sull’utilizzo improprio del finanziamento pubblico dei partiti ci ricordano che in una democrazia tutte le istituzioni – e quindi anche gli stessi partiti politici – sono chiamate a “rendere conto” del proprio operato, indipendentemente dalla loro natura giuridica, per la funzione sociale che svolgono, o che sono chiamate a svolgere. Se poi ricevono anche contributi derivanti dalla fiscalità generale, e quindi finanziati dai cittadini, proprio in ragione del principio che il loro funzionamento è in qualche modo un servizio reso alla collettività, allora la trasparenza e la rendicontazione devono essere un obbligo di legge.
C’é evidentemente molta strada da fare se è possibile immaginare, o addirittura sostenere, come qualcuno ha fatto, che il finanziamento pubblico a un partito politico, una volta erogato, autorizza il beneficiario a farne ciò che vuole, essendo un patrimonio privato. Quanto deficit di senso civico e di rispetto delle istituzioni dietro quelle dichiarazioni! Quanta libertà di agire impunemente, al di fuori di ogni basilare principio di accountability, legittimata dall’assenza di regole e di severi sistemi di controllo e di sanzione.
Questa breve riflessione, derivante da fatti all’ordine del giorno, si collega ad un tema più generale oggetto della nostra attenzione da anni, vale a dire quello della responsabilità “sociale” di cui ogni istituzione è portatrice per gli effetti che la propria azione genera nei confronti dei suoi interlocutori e della comunità di riferimento. E del diritto-dovere che i cittadini hanno di “chiedere conto” del suo operato e di pretendere regole ferme di rendicontazione e trasparenza.
Il principio di accountability riguarda tutti coloro che svolgono un’attività per conto di qualcun altro, a partire dalla famiglia (la responsabilità “sociale” dei genitori nella cura dei figli), alle imprese (la responsabilità “sociale” nella produzione di reddito), alle associazioni di rappresentanza e alle organizzazioni civiche (la responsabilità “sociale” dell’azione politica e di tutela di diritti all’interno di una comunità).
Ma non vi è dubbio che il dovere di rendere conto riguarda in primis le amministrazioni pubbliche, “in quanto titolari di un mandato e della potestà di scegliere e agire come interpreti e garanti della tutela degli interessi e della soddisfazione dei bisogni della comunità”, come si legge nelle Linee Guida al Bilancio sociale per le amministrazioni pubbliche del marzo 2006.
Sappiamo che da alcuni anni molte amministrazioni pubbliche sono impegnate nella redazione di bilanci sociali e che a seguito del Decreto Legislativo 150 del 2009 la trasparenza e la rendicontazione ai cittadini devono diventare una modalità ordinaria di gestione dei rapporti con i cittadini. Almeno sulla carta. Ma tutto ciò non basta, se il rischio è sempre quello di assistere a forme autoreferenziali di comunicazione, dove i cittadini sono meri spettatori e fruitori di informazioni parziali. Dove chi comunica può decidere unilateralmente cosa, quando, come e a chi. E dove, a fronte di molte amministrazioni pubbliche sensibili a questi aspetti, e che cercano nuove forme di relazione con i cittadini, più aperte e partecipate, è ancora possibile tollerare in tante altre – la maggior parte – la totale assenza di trasparenza e ascolto, il mancato rispetto di adempimenti e obblighi di legge, se non addirittura il perpetuarsi di comportamenti illeciti e un uso sostanzialmente privato della cosa pubblica. Esattamente il contrario della funzione pubblica e del servizio alla comunità.
Il deficit di accountability che per tanti anni abbiamo tollerato appare oggi in tutta la sua drammatica gravità. In momenti di crisi come questo, con la sottrazione di risorse disponibili per il mantenimento del nostro sistema di welfare, e l’incapacità della classe dirigente di rendersi affidabile, il rischio di perdita di garanzie per i cittadini è altissimo. E quindi il “buon governo” non è più un’opzione ma una necessità impellente. Nessuno può pensare di affrontare scelte così complesse e responsabilità così grandi, come ad esempio quelle di garantire i livelli essenziali di assistenza con la spesa pubblica senza aumentare l’imposizione fiscale o la compartecipazione alla spesa dei cittadini, senza sentire il peso della funzione ricoperta, senza adeguati percorsi di condivisione delle decisioni, e senza nuove forme di partecipazione dei cittadini stessi alla vita democratica e al governo locale.
Sappiamo bene, infatti, che pur a parità di norme generali e indirizzi stabiliti dal Parlamento e dal Governo, è oramai soprattutto a livello locale che si gioca la sfida del cambiamento e del buon governo. Come spiegare altrimenti il differenziale di performance delle Regioni in ambito sanitario o l’estrema eterogeneità di offerta e di qualità dei servizi pubblici locali tra i Comuni, spesso anche limitrofi? Questa diversità di comportamenti e di capacità di amministrare la cosa pubblica deve essere oggi portata alla ribalta, misurata e resa pubblica, se vogliamo che pur in un sistema di autonomie locali siano garantiti adeguati livelli di equità, universalità e solidarietà.
Diventa quindi fondamentale l’azione dei cittadini e il loro impegno nel prendere parte alle fasi di elaborazione, implementazione e monitoraggio delle decisioni che incidono sulla tutela dei diritti. I cittadini sono i giudici più autorizzati a formulare una valutazione e un giudizio sull’operato di chi li governa, per alcune semplici ragioni spesso dimenticate: sono i destinatari delle politiche e fruitori dei servizi pubblici, sono i finanziatori di tali interventi, sono gli elettori di chi li governa, e sono parte attiva della comunità in cui vivono.
Occorre, insomma, pensare oggi all’azione civica come una leva potente per scardinare dalla base tutte quelle situazioni in cui chi amministra la cosa pubblica non sente il peso della propria responsabilità e la funzione di servizio che è chiamato ad esercitare. Che si tratti del livello nazionale, regionale o locale, svolgere le funzioni di governo con onestà, affidabilità e competenza non può essere il frutto del caso, ma l’esito di un percorso consapevole, senza possibilità di deroga o di inerzia ingiustificata. Ed è anche una responsabilità collettiva, che chiama in causa l’esercizio pieno del diritto di cittadinanza, come dovere di prender parte e contribuire alla produzione del bene comune, superando privilegi e interessi di parte e denunciando soprusi e violazioni.
Una delle strade che qui si propone è dunque quella di rafforzare e sviluppare la valutazione civica come strumento di partecipazione dei cittadini al governo locale. I cittadini devono poter contare e dire la loro, proponendosi come analisti attenti, diffusori di informazione civica e attivatori di un ambiente civico in grado di promuovere il dibattito pubblico e il confronto continuo sui temi che interessano la qualità della vita.
Attraverso un’azione sistematica di valutazione dei servizi pubblici locali, realizzata in modo comparativo in diverse realtà del Paese, i cittadini possono rivendicare delle garanzie nei livelli essenziali dei servizi a salvaguardia del welfare locale, verificare e monitorare il livelli di equità e accessibilità del servizio pubblico, disporre di strumenti per giudicare in modo rigoroso e trasparente la “buona” dalla “cattiva amministrazione”, e promuovere un loro ruolo attivo nel governo locale, in una prospettiva di sussidiarietà orizzontale.
A seguito del decentramento amministrativo e del federalismo fiscale, i sistemi sanitari regionali (Regioni e aziende sanitarie) e gli Enti Locali (in primo luogo i Comuni) sono banchi di prova ad alto rischio per la sostenibilità e la salvaguardia del nostro modello di welfare. E sono proprio questi i principali ambiti di sviluppo per una valutazione civica competente, e per una nuova stagione di impegno e di partecipazione dei cittadini alla costruzione di un Paese più coeso e di istituzioni più responsabili.
Angelo Tanese – Agenzia di Valutazione Civica di Cittadinanzattiva
E’ difficile cambiare . Gli Enti locali sono sordi a ridurre gli sprechi a rendere i servizi efficienti efficaci ed economici . Guardate ad esempio i siti dei Comuni sono tutti (non solo conformi alla normativa) ma poco trasparenti, quando invece dovrebbe essere lo strumento per collegarsi ai cittadini . Non si vuole di fatto trasparenza perchè se no si capirebbero troppe cose . Le caste fatte dai Segretari Comunali dai Dirigenti Scolastici tutti volti a mantenere il loro posto e non fare per i cittadini . Lo vediamo tutti i giorni come Vas Fvg Alto Livenza e possiamo dire che MANCA LO STATO. Ai cittadini rimangono inaugurazioni , strette di mano e sorrisi , ma sopratutto pagare tasse, tasse sulle tasse .