Il disastro dell’industria automobilistica italiana

Parte introduttiva di un’intervista sulle sorti dell’industria automobilistica italiana pubblicata su www.industriaitaliana.it a cura di Marco De’ Francesco.

«Non è il caso di sperare in un nuovo corso di Stellantis in Italia, con più volumi e posti di lavoro. Anzitutto, perché è cambiato il mercato dell’auto in Europa: si produce ciò che si vende, e si cerca di massimizzare i margini. In secondo luogo, perché produrre in Italia non conviene: non ci vogliono venire neppure i cinesi, che hanno bisogno di “delocalizzare” in Europa. Infine, perché l’auto green è stata, com’era prevedibile, un totale fallimento». Parole di Pierluigi Del Viscovo, il docente di marketing e sistemi di distribuzione e vendita (ha insegnato a Bologna e alla Luiss di Roma) nonché grande esperto di automotive: è fondatore e direttore del Centro Studi Fleet&Mobility.

Il dato di partenza è che la produzione di auto nel Belpaese è in netto declino. Nel 2023, quella di Stellantis in Italia si è fermata a 521.842 unità su un totale nazionale di 541mila vetture. Altri carmaker attivi in Italia, come Lamborghini (Volkswagen), Dodge (la Dodge Hornet è prodotta a Pomigliano d’Arco), DR (a Macchia d’Isernia), Automobili Pininfarina, Dallara, Pagani e Ferrari, non incidono molto sul computo dei numeri totali. Le previsioni per il 2024 non sono più rosee: secondo i dati preliminari di Anfia, la produzione di autovetture in Italia ha registrato un calo del 31,3% nel mese di marzo e una diminuzione del 21,1% nel primo trimestre dell’anno.

Se però guardiamo alle vendite di auto nel Belpaese, il piatto non è mai stato così ricco: i carmaker nel 2023 hanno fatturato 45 miliardi: non era mai accaduto. Si vendono auto più potenti e costose (con prezzi di listino superiori a 35mila euro), con grande ritorno di marginalità. La classe sociale meno abbiente, invece, forse perché strangolata dal plateau inflazionistico, ha smesso di acquistare auto. È così in tutta Europa. Insomma, Volkswagen, Toyota, Renault, Bmw, Audi, ma anche la stessa Stellantis, e tutti gli altri carmaker continuano a fare profitti nel nostro Paese. Ma l’industria automobilistica in senso di Oem (per i componentisti il discorso è diverso) sta arrivando anno dopo anno al capolinea. Per responsabilità divise a metà fra la politica inerte e succube dei padroni, e quindi incapace di dettare condizioni e di fare una politica industriale seria, e una classe dirigente economica di livello basso.

La speranza che un costruttore cinese decida di produrre in Italia è poi assai remota. Non conviene produrre in Italia. I costi energetici sono il doppio rispetto alla Francia, creando un significativo svantaggio competitivo; la lentezza dei processi civili e penali genera incertezza legale, aumentando i rischi percepiti dagli investitori; la rigidità del mercato del lavoro e la fuga di talenti qualificati all’estero complicano il mantenimento e l’attrazione di forza lavoro competente; la fiscalità oppressiva e complessa rappresenta un ulteriore ostacolo per le imprese; infine, la logistica è carente.

Il quadro è complicato dal fallimento della macchina a zero emissioni, su cui Stellantis aveva puntato: l’auto green non offre vantaggi sufficienti per giustificare i suoi costi e le sue limitazioni, e non riesce a soddisfare le esigenze pratiche e di libertà degli utenti. Per Mirafiori, che produce la 500 elettrica, sono guai.

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