Il governo Draghi e il conflitto di strategie Renzi Pd

Difficile condividere l’esultanza per il prossimo governo Draghi. Bisognerebbe essere contenti che adesso è alla guida l’italiano più conosciuto, stimato e autorevole al mondo. Bisognerebbe, ma non si può perché il suo è l’ennesimo governo del Presidente o tecnico che deve rimediare all’incapacità dei rappresentanti eletti dal popolo di mantenerne in piedi uno politico. C’è veramente poco da gioire se nei momenti più difficili i partiti non riescono a dare soluzioni, ma diventano loro stessi un problema.

Nel marzo 2018 è stato eletto un Parlamento che ha dato vita a due maggioranze di segno opposto anche se entrambe basate sul M5s, partito di maggioranza relativa. Poco più di un anno ciascuno e adesso non ci sono più i numeri per una terza. Lo sbocco naturale di questa situazione sarebbero state le elezioni, ma, come ha spiegato Mattarella, deciderle adesso sarebbe un disastro. Il lavoro delle istituzioni si bloccherebbe e bisognerebbe rinviare le scelte importanti al nuovo Parlamento e al nuovo governo.

Non tra sei mesi, ma subito le prove da affrontare sono quelle dette e ridette: la vaccinazione, la gestione della pandemia, il funzionamento degli apparati e dei servizi pubblici (scuola e sanità innanzitutto), la ripresa dell’economia, la disoccupazione che esploderà non appena finirà il blocco dei licenziamenti, i danni prodotti a milioni di italiani dalle prolungate chiusure e dalle limitazioni alla libertà di circolazione, la preparazione del Recovery plan per ottenere i finanziamenti che l’Unione europea ha previsto per l’Italia.

Sono gli stessi temi dei quali si è occupato il governo Conte e che sono alla base dei disaccordi e della rottura nella maggioranza che lo sosteneva. La domanda che sorge è semplice: era proprio impossibile trovare una mediazione fra i quattro partiti che lo sostenevano e mantenere in piedi il governo? A quanto pare per Italia Viva lo era e ha scelto la rottura. Per arrivare a cosa? In politica bisogna sempre guardare un po’ più lontano. Per questo oggi non si possono battere le mani ed esultare perché Renzi ha battuto Conte.

È chiaro a tutti che quella del governo Draghi sarà una parentesi. Quanto lunga non si sa, ma non è assurdo pensare che, una volta sistemato il Recovery plan e messa in sicurezza la campagna vaccinale, la sua funzione sia esaurita. Ogni altra decisione richiederà una linea e un programma ampi che il “governo dei migliori” non potrà avere a meno che i partiti non accordino al governo un sostegno politico pieno riconoscendosi come la nuova maggioranza. Diversamente si dovrà andare ad elezioni. La decisione andrà presa prima che inizi il “semestre bianco” e cioè entro i primi di agosto per votare a ottobre.

Ecco perchè sarebbe giusto che Italia Viva e Renzi dicessero qualcosa di più sull’immediato futuro. Pensano che quello di Draghi possa diventare il governo “Ursula” o delle larghe intese di cui si parla da tempo? Pensano che una volta distrutto il M5s, ridimensionato il Pd, emarginate le ali estreme dei due schieramenti si possa formare un grande centro che raccolga i moderati e i liberaldemocratici che oggi si trovano in Forza Italia, +Europa, Azione, IV e nel Pd? Pensano cioè di ricostruire lo schema che ha permesso alla Dc di governare per decenni? È probabile che sia questa la strategia di Renzi radicalmente opposta a quella che il Pd di Zingaretti (e di Bettini) stava provando a realizzare: un polo di centro sinistra con dentro i partiti del governo Conte (IV inclusa), ma con un possibile allargamento agli europeisti di Azione e +Europa. Una strategia che prendeva atto con realismo dell’esistenza di un polo di destra e dell’inesistenza di un polo opposto. Assumendo l’europeismo come linea di distinzione sembrava possibile puntare su un’ulteriore evoluzione del M5s che trainato da Conte aveva da tempo abbandonato le posizioni anti Europa che lo avevano legato a Salvini. Forse è il caso di ricordare che nella campagna elettorale del 2018 entrambi i partiti sostenevano l’uscita dall’euro. Tre anni fa. Che fosse una scommessa rischiosa data la natura indefinita del M5s e data l’assenza di una struttura di partito e finanche di un programma politico era ed è chiaro e va ricordato.

Una strategia, comunque, Renzi ce la deve avere in testa perché altrimenti non si spiega la ricerca insistita dell’errore e dei punti di divisione piuttosto che quella dei compromessi. Se la strada è quella di puntare ad un grande centro rispetto al quale il Pd possa essere l’ala sinistra (come il Psi ai tempi dei governi democristiani, un partito al 10% o meno) allora si spiega la volontà di far saltare l’alleanza Pd – M5s per impedire che si costituisca un polo di centro sinistra. In questo quadro, inoltre, viene data per scontata la frantumazione dei 5 stelle una volta perso il governo e un loro ritorno al radicalismo antipolitico.

Le prime mosse del Pd sembrano confermare la ricerca di una vicinanza con i 5 stelle e, quindi, il tentativo di mantenere la via di un polo di centro sinistra che, però, non potrà fare a meno di una componente moderata e liberaldemocratica. Un tentativo destinato, forse, a non riuscire per abbandono del partner.

Se sono queste le opzioni strategiche si tratta di due strade divergenti e probabilmente illusorie entrambe. Ma forse arriveranno prima le elezioni a chiarire le cose.

Claudio Lombardi

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