Il merito valore di sinistra?

svolta culturaleEleonora Rizzi è una giovane che, come tanti altri della sua generazione, è andata a vivere all’estero seguendo quel lavoro che è diventato un miraggio per molti qui in Italia. Come sei arrivata a questa scelta e perché?

La scelta di andare a lavorare all’estero non è stata certo una scelta facile: spesso chi ottiene un titolo di studio come la laurea si scontra con la dura realtà del mondo del lavoro in Italia e ci si trova ad accettare un impiego qualunque spesso senza contratto e sottopagato. Per questo ho deciso di fare una scelta netta, consapevole che comunque un periodo di lavoro all’estero sarebbe stato necessario per cercare di superare una situazione che mi sembrava priva di vie di uscita qui in Italia. Comunque sapevo che se volevo realizzare qualcosa di solido sarebbe stato necessario affrontare sfide difficili. E così è stato: nel giro di una settimana, ho cambiato vita senza nemmeno conoscere esattamente la città (Rotterdam) dove sarei andata a vivere; ma andavo a fare un lavoro coerente con i miei studi e questo mi ha dato forza, coraggio e anche speranza in un nuovo inizio e un futuro migliore.

coinvolgimento cittadiniScelta personale, ma condizionata da scelte politiche e di governo. Che ne pensi della politica?

La politica riguarda tutti noi. È paradossale, però, che sia così necessaria (e mai come adesso con una crisi che appare invincibile), ma anche così lontana dalla vita delle persone. I risultati elettorali lo dimostrano chiaramente. Quando ho deciso di trasferirmi all’estero ho messo in conto il fatto che mi sarebbe mancata la politica o, meglio, la possibilità di partecipare alla politica. Io però voglio tornare e mettere a servizio della mia comunità e, possibilmente, dell’Italia l’esperienza professionale acquisita.

Certo non tutti la pensano così, ma io credo che della politica non possiamo assolutamente fare a meno. D’altra parte non esiste uno stato o una comunità che non abbia la propria forma di governo e le proprie regole.

vie partecipazioneLa politica è fatta di scelte. Destra e sinistra sono i nomi sotto i quali si sono raccolte nel corso della storia idee molto diverse e tanti dicono che questi nomi non hanno più senso. Per te ce l’hanno un senso?

Se la politica è legata a valori culturali, a interessi, a visioni del mondo allora è naturale che esistano punti di vista o linee di pensiero diverse. Come dici tu la storia ha identificato in questi due nomi la diversità più importante a partire dalla quale si sono formate altre posizioni intermedie. Io avverto che una distinzione netta comunque c’è: la destra conservatrice o reazionaria, la sinistra progressista e reattiva.

Purtroppo l’anomalia italiana degli ultimi vent’anni ha visto la distruzione sia a destra che a sinistra di una proposta politica credibile. A destra si è affermata e consolidata l’idea di un partito-azienda di proprietà di un padrone. A sinistra, al contrario, la frammentazione dei vecchi partiti ha dato vita ad un organismo come il PD, potenzialmente forte nei principi e nella proposta politica, ma nella realtà dei fatti molto debole perché non in grado di superare la genealogia e la provenienza politica di coloro che ne fanno parte. E così il PD appare un sistema di correnti e di fazioni. In questa situazione è emerso il M5S che, al di là della proprietà del marchio (Grillo-Casaleggio), è fatto di persone che hanno lavorato su proposte politiche concrete, su temi portati avanti da tempo anche dalla sinistra. Insomma il PD ha avuto l’intuizione migliore, ma poi ha perso la sua identità, non riuscendo più a parlare con il suo elettorato e in qualche modo avallando posizioni conservatrici. Tra l’altro il PD, visto dall’esterno, sembra più un’oligarchia che una comunità di persone che decidono insieme e discutono le proposte e i progetti da attuare per fare migliore l’Italia.

direzioni diverseE così destra e sinistra finiscono per confondersi e apparire simili o non tanto distanti nella realtà dei fatti.

Forse la sinistra ha bisogno di verificare le sue idee e i suoi valori. Diritti e ridistribuzione del reddito sono i suoi capisaldi. Sono sufficienti o ci vuole altro?

Come già detto prima, penso abbia ancora un senso parlare di una distinzione tra destra e sinistra nella politica di oggi, ma a patto di rivedere e ridefinire il sistema di valori, di idee e le scelte che le caratterizzano. La sinistra ha molto da ripensare perché valori e principi vanno ricollocati nella situazione attuale. Per questo penso che bisogna cambiare la filosofia di fondo che sta alla base: “diritti e redistribuzione del reddito” come capisaldi su cui basare e costruire la proposta politica non sono sufficienti. Bisogna davvero interrogarsi sul principio di equità: significa davvero una redistribuzione in parti uguali a ciascuno? Il termine equità può davvero essere il sinonimo di uguaglianza indistinta? Per me è evidente che non è così. Prima di tutto perché siamo tutti individui differenti (le regole devono essere uguali, non le persone); in secondo luogo perché è un principio giusto che tutto sia commisurato al conseguimento di un risultato, di un obiettivo, all’impegno personale. Perciò penso ad un sistema dove sia possibile valutare il merito e premiare il talento di ciascuno di noi.

meritocraziaPer me il punto è centrale: la sinistra italiana dovrebbe riappropriarsi di questo valore che per troppo tempo ha lasciato nel campo della destra italiana, che lo ha stravolto e banalizzato nel mero concetto di “self-made man”. Anche perché la sinistra italiana, dagli anni ’90 in poi, ha sempre guardato al modello delle socialdemocrazie dei Paesi scandinavi o a quello tedesco, sistemi nei quali il merito sta alla base della costruzione di uno stato più equo e in grado di funzionare. Ed è questa la vera “lotta di classe” della sinistra del nuovo millennio: mettere il tema del merito al centro. Merito non è discriminazione, ma va insieme a pari diritti e pari opportunità.

Partire dal merito significa in altre parole comprendere che tutti devono avere lo stesso punto di partenza, che il punto di arrivo non è il medesimo per tutti ed è condizionato, non da uno status-sociale di privilegio, ma semplicemente dal talento e dai risultati raggiunti da ciascuno. Questo aiuterebbe a creare una società meno frustrata, dove le persone imparano a comprendere i propri limiti e le proprie potenzialità e a mettersi in gioco per quel che valgono davvero, contribuendo alla realizzazione di un futuro migliore e concreto. Ma non solo: ridisegnare il sistema basandosi su un vero principio di merito significa interrompere meccanismi perversi (baronato, carriere per scatti di anzianità) che si sono perpetrati nel corso di decenni soprattutto nei settori della Pubblica Amministrazione, della ricerca e dell’Università.

Un sistema realmente meritocratico è senza dubbio un sistema più aperto e flessibile nel quale i diritti non sono una concessione di chi dispone del potere politico (a cui essere grati e fedeli), ma una condizione di base su cui svilupparsi. Inoltre, se uno stato garantisce diritti, i cittadini stessi si sentono parte di esso ed è più probabile che osservino maggiormente i propri doveri.

2 commenti
  1. angela masi dice:

    Credo che il problema sia molto più complesso…. Insomma non è solo una questione terminologica. L’articolo affronta tanti temi: dall’Università, alla politica, dallo scoramento dei giovani all’organizzazione aziendale. In Italia, purtroppo, i titolo universitari fioccano anche senza merito. Lasciando da parte le polemiche sulla compra-vendita di esami e titolo mi tornano alla mente tesi scopiazzate, verbalizzazioni di esami col 30 politico, lezioni sovraffollate. Insomma, problema n.1 l’organizzazione universitaria che va dalla revisione dei programmi alla stabilizzazione dei professori precari, dai costi alle strutture, ai criteri per il conferimento delle borse di studio.
    Vero è anche che, laddove l’impegno universitario è stato serio e motivato, il titolo di studio non apre le porte del mercato del lavoro vuoi perchè è saturo, vuoi perchè è gestito in modo clientelare e mafioso: chi è che non ha avuto promesse di reddito o contratti a tempo indeterminato in cambio di voti? Ma che cos’è che rende un giovane meritevole? Il titolo di studio? A mio parere non solo: l’esperienza, la predisposizione rispetto al lavoro di gruppo, capacità di problem solving, tecniche di organizzazione aziendale. Qualità che le aziende dovrebbero sperimentare, non a gratis come succede adesso e non per anni. Insomma più che di merito noi giovani abbiamo bisogno di fiducia e di spazio tra la generazione “uscente”. Una cosa è certa: il modello Berlusconiano nulla ha a che vedere col merito, con la meritocrazia, con la morale, con la buona politica. Anzi, ci ha insegnato un modello mafioso, criminale, clientelare

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