Il pretesto dell’allargamento della Nato a est

L’ingresso dei paesi dell’ex Patto di Varsavia nella Nato, iniziato con Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nel 1999, fu preceduto dalla firma del Nato-Russia Founding Act il 27 maggio 1997 a Parigi.

Con quell’atto la Russia prendeva atto dell’ingresso dei nuovi membri Nato e l’Alleanza Atlantica escludeva lo schieramento permanente di forze armate Nato e l’installazione di armamenti offensivi, come missili con testate nucleari, nei nuovi territori.

Esclusione che è ancora oggi rispettata dall’occidente, che ha installato solo missili intercettori, dunque difensivi a corto raggio, sui quali non è tecnicamente possibile istallare testate nucleari.

Infatti nel 2002, a Pratica di Mare, la Russia entra a far parte del G20, il gruppo mondiale “di testa”, dove avrebbe potuto confrontarsi da pari a pari con le altre potenze mondiali e definire un nuovo modello multipolare che tutti dicevano di voler realizzare.

Nel 1989 le truppe Nato in Europa erano circa 315.000. Dopo la dissoluzione dell’Urss ci fu una drastica riduzione fino ad arrivare, nel 2014 con l’annessione russa della Crimea, a circa 100.000 soldati dei quali 64.000 americani.

Nel 2021, mentre Putin incolpava la Nato di espandersi a Est, i soldati Nato erano oltre quattro volte meno rispetto al picco nella guerra fredda (430.643 nel 1957), smentendo di fatto le accuse russe e cinesi.

Dopo che Putin, con la guerra della Russia all’Ucraina, ha stracciato gli accordi del ‘97, la Nato ha schierato ulteriori quattro, cosìddetti, gruppi tattici multinazionali, cioè quattro battaglioni con 1000 soldati ognuno nei tre paesi Baltici e in Polonia, arrivando al totale attuale di 101.000 soldati sotto il comando Nato.

Non esistono missili con testate nucleari o convenzionali istallati, su basi fisse o mobili, nei paesi dell’ex blocco sovietico ammessi nella Nato. Quindi il timore russo di vedere schierati in prossimità dei propri confini sistemi che costituissero una minaccia diretta al proprio territorio e alle proprie città, non si è mai materializzato, né allora, né oggi.

La natura difensiva della Nato in Europa è testimoniata dalla qualità e quantità del suo dispositivo militare, ben noto all’intelligence Russa, e confermato dall’estrema prudenza che sta praticando oggi, per non entrare a diretto contatto con la Russia.

Al contrario, dal 2013 la Russia ha schierato, da Kaliningrad e lungo tutti i confini dell’UE, missili con portata minima di 500 km, con testate sia convenzionali che nucleari. Missili termobarici a velocità ipersonica, finiti di installare nel 2018, che possono raggiungere qualunque città dell’UE in pochi minuti.

Putin, il bugiardo, mentre firmava gli accordi del 2002 a Pratica di Mare, aveva in progetto un’altra strategia. Che annuncia a Monaco il 10 febbraio del 2007, sulla base delle idee revanchiste e nazionaliste di Alexandr Dugin.

La sollecitazione di Zelensky, eletto nel 2019, di entrare nella Nato sulla base di una domanda avanzata dal governo e dal Parlamento ucraino nel 2008, è assai comprensibile viste le minacce di Putin dal 2007 al 2011. Concretizzate nel 2014 con l’annessione della Crimea e l’intervento di contractors russi nel Donbass.

Ma la richiesta non poteva essere accolta perché il regolamento Nato vieta l’adesione da parte di paesi belligeranti. Per non “ereditare” conflitti in atto. La risposta della Nato fu laconica, diplomatica e temporeggiatrice. Un atteggiamento noto sia all’Ucraina che a Putin.

Cadono con questo sia il pretesto di Putin di rispondere ad una provocazione Nato, sia la fake news filorussa secondo la quale gli Usa avrebbero spinto Zelensky a provocare la Russia assicurandogli l’ingresso nella Nato per poi lasciarlo scoperto. Sono note le dichiarazioni ufficiali del Dipartimento di Stato Usa, ripetute negli anni e fino a pochi giorni prima dell’aggressione, che anche se si fosse trovato il modo di aggirare il regolamento Nato, l’ingresso dell’Ucraina si sarebbe concretizzato non prima di venti anni.

Non si può imputare a Zelensky la responsabilità della guerra per le continue e pressanti richieste di aiuto militare all’occidente. Chiunque fosse sotto l’attacco ingiustificato, massiccio e brutale cui è sottoposta l’Ucraina, farebbe altrettanto. E’ ripugnante descrivere Zelensky come il massacratore del suo popolo per rendere un servizio agli Usa.

Impressiona, viceversa, il cinismo di chi, nascondendosi dietro la parola Pace, giustifica la guerra di Putin fornendo ogni giorno interpretazioni politiche e narrazioni storiche che furono usate per “comprendere” le ragioni dell’attacco di Hitler alla Polonia e l’inizio della seconda guerra mondiale. La frustrazione della Germania nazista come quella della Russia di Putin vessata dall’occidente. I conti tornano?

Il pensiero di una resa dell’Ucraina alla prepotenza russa può fare comodo, temporaneamente, a noi spaventati, ma una pacificazione violenta, senza giustizia, non sarebbe mai accettata non dal governo, ma dal popolo ucraino che resiste agli aggressori russi. Pace in cambio di libertà?

Si se si pensa che l’occidente sia schiavitù e Putin sia liberazione, che l’Ucraina sia nazista e Putin l’erede del comunismo patriottico certo che sì. Ma ditelo chiaramente, senza sporcare

Umberto Mosso

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