Il punto di Romano Prodi sulla disuguaglianza

Sul sito www.avvenire.it compare un’interessante intervista a Romano Prodi della quale riportiamo una sintesi

La diseguaglianza è il “buco nero” nel quale rischiano di annullarsi gli sforzi per stabilire un ordine mondiale fondato sulla stabilità e sulla cooperazione. Ben più dei conflitti religiosi è questa la causa del degrado di territori dai quali le popolazioni vogliono fuggire e crea le migrazioni di massa che caratterizzano questo periodo storico. In Europa la disuguaglianza rischia di far fallire il compromesso tra Stato, erogatore e garante di politiche pubbliche e di welfare, e mercati basati su una imprenditorialità legata ai territori. Il rischio secondo Prodi, è “di vivere in una società non solo ingiusta ma anche poco dinamica”.

ricchi e poveriLa crescita delle disuguaglianze non nasce oggi, ma risale a circa 35 anni fa. Fino al 1980 le disuguaglianze “sono diminuite, grazie all’effetto delle politiche salariali, all’azione dei sindacati, all’intervento redistributivo dei governi attraverso le imposte. Soprattutto prevaleva una dottrina economica, che possiamo definire keynesiana, per la quale la protezione sociale e l’uguaglianza erano obiettivi condivisi. Poi tutto si è rovesciato. Soprattutto per opera dei governi della Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti si è imposta la dottrina economica di ‘non intervento’ basata sui principi di un liberalismo esasperato. Sono diminuite in modo drastico le aliquote fiscali sui redditi maggiori, sono state abolite in molti Paesi le imposte sulle eredità e, anche se non è diminuito nel complesso il carico fiscale, è stato alleviato il peso sui redditi più elevati”.

Non è stato un processo spontaneo, ma “ci sono state scelte politiche che hanno aumentato le differenze tra ceti alti e ceti medio – bassi. A ciò si è accompagnata la finanziarizzazione dell’economia: le strutture della finanza hanno accumulato fortune come non mai prima. Si dice che oggi un terzo delle ricchezze del mondo facciano capo a persone che starebbero tutte in un solo pullman e questo, come viene spiegato da molti economisti, perché il rendimento della finanza è più elevato del rendimento dell’economia produttiva”.

ricchezza Ciò che colpisce è che l’ideologia liberista è penetrata così in profondità che per molto tempo proporre la redistribuzione delle ricchezze attraverso il sistema fiscale significava candidarsi a perdere le elezioni. Tuttavia adesso sta cambiando qualcosa e “siamo arrivati a un fatto prima inconcepibile: un candidato alla primarie americane che si definisce socialista, parola che negli Usa era quasi un crimine di guerra”. Al di là delle possibilità di vittoria di Sanders conta “che una parte cospicua della giovane generazione americana lo sostenga”.

Anche le nuove tecnologie hanno contribuito a cambiare gli equilibri preesistenti distruggendo “una quantità enorme di lavoro nelle classi medie” e frammentandolo. Si è verificata così una polarizzazione tra le fasce più basse (badanti, colf, addetti ai call center) e le fasce alte che (manager, dirigenti). “Il problema è serio soprattutto per Paesi come l’Italia che ha uno scarso ritmo di aumento delle professioni innovative. Se continuiamo a mandare all’estero i nostri cervelli è un suicidio collettivo”.

Il problema per Prodi è riagganciare la ripresa, ma “non lo si può fare senza aumentare la propensione al consumo. Se la ricchezza si accumula solo nelle classi superiori, che consumano rispetto alle altre una percentuale minore del loro reddito, è chiaro che l’economia non si muove. E restiamo in una condizione che non dà sicurezza perché rompe la struttura sociale”.

crescita pilIl grande interrogativo è se l’Europa saprà cambiare strada rispetto a quella battuta nei decenni passati e che ha fallito. Per Prodi “l’Europa può vantare a suo merito l’unica grande invenzione del secolo scorso, il welfare state ma, di fronte ai cambiamenti che ho descritto, ha progressivamente perso la sua anima. La cancelliera Merkel, che pure rischia la sua vita politica per il suo atteggiamento in favore dell’immigrazione, afferma nel contempo che l’Ue, avendo solo il 7% della popolazione e il 20% del Pil mondiale, non può sostenere il 40% del costo globale del welfare. È un discorso che ha una logica, ma 30 anni fa sarebbe stato rovesciato e saremmo partiti dalla necessità di preservare le conquiste sociali. Questa rassegnazione dell’Europa alla perdita del suo patrimonio di solidarietà mi colpisce molto. Tuttavia oggi la battaglia per una maggiore uguaglianza può essere ricominciata, perché c’è una corrente intellettuale robusta che mette in primo piano questi problemi, anche se non si è ancora trasformata in forza politica”.

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