Il quadro complicato del Qatargate

Un contributo per approfondire le implicazioni del Qatargate. Di Corradino Mineo da facebook

L’affaire, se possibile, si ingrossa. Corriere e Repubblica accreditano indiscrezioni secondo cui a pagare “les Italiens”, protagonisti dello scandalo che ha sconvolto il Parlamento europeo, sarebbero state spie del Marocco. Non che il Qatar ne sia fuori, tutt’altro, ma ci sarebbe dentro anche Rabat. Mi tocca allora ricordare che l’intelligence marocchina è protagonista da lungo tempo sulla scena europea. Nel 1965 fu sequestrato, davanti alla Brasserie Lip, in Boulevard Saint Germain a Parigi, Mehedi Ben Barka. considerato un pericoloso oppositore dal re del Marocco. I francesi, di certo, ma probabilmente altre “agenzie” occidentali, parteciparono al sequestro e all’eliminazione dell’uomo, che era un leader del movimento dei “non alleati” e, in quanto tale, considerato in contatto, se non aiutato dai servizi dell’est. Il Marocco ha i suoi interessi e li sa difendere. Negli ultimi due anni ha ricattato la Spagna del socialista Sanchez, spedendo migliaia di immigrati a Ceuta, enclave spagnola in Africa. E ha vinto. Perché Sanchez alla fine ha accettato l’occupazione del Sahara Occidentale, ex spagnolo, che il Marocco ha chiuso con un muro lungo 2.720 chilometri, per sottrarlo al popolo Sarawi, i cui diritti l’ONU aveva riconosciuto.

Dunque, governo del Qatar – il ministro dell’istruzione ha incontrato l’ex vice presidente del Parlamento, Kaili – e servizi segreti di Rabat. L’Europa non ha una politica per la costa meridionale del Mediterraneo e i paesi arabi partono all’assalto dell’Europa. Ma c’è un’altra notizia – tutte, comunque, da verificare – che non è meno inquietante. Gli inquirenti belgi si sarebbero mossi già questa estate – addirittura con perquisizioni segrete delle case degli attuali inquisiti – e lo avrebbero fatto grazie a informazioni ricevute dai servizi segreti degli Emirati Arabi. Emirati che da qualche anno hanno sostituito l’Arabia Saudita nella guerra nello Yemen, contro gli Huthi, che sono sciiti e filo iraniani. Come è evidente Qatar ed Emirati, ex colonie britanniche, amici fedeli degli Stati Uniti, sono in concorrenza tra loro. Per il controllo delle opinioni arabe. Doha ha fondato Al Jazira, Abu Dhabi gli ha contrapposto Al Arabia. E dell’immaginario mondiale. Il Qatar s’è comprato il Paris Saint Germain. Il Marocco ha presentato la sua nazionale di calcio come simbolo del riscatto africano. Il Qatar, come la Turchia, intrattiene rapporti coi Fratelli Musulmani, la più antica tra le sette islamiste, che vinse le elezioni in Egitto (e fu depredata di quelle algerine) ed è oggi considerata “organizzazione terrorista” da Al Sisi – che ha fatto torturare Regeni – e dal re del Marocco. La monarchia saudita, dalla metà del settecento, mentre in Francia si affermava l’illuminismo, ha abbracciato il credo fondamentalista, reazionario e medievale di Al Wahhab, ispiratore del fondamentalismo di Al Qaeda e di Daesh.

Bene, tutta questa bella gente cura i suoi interessi, e coltiva i suoi odi, con soldi e materie prime che noi europei apprezziamo. Non da ora, da decenni. Ma l’imprudenza di questi signori è cresciuta in modo esponenziale per via della crisi dell’impero americano – i cui fasti, sia chiaro, non rimpiango – impero il cui prestigio fu ferito dall’attentato dell’11 settembre 2001, finì nella polvere un anno fa, con la ritirata da Kabul, e che, dopo la guerra per l’Ucraina, può essere sostituito per i commerci dalla Cina di XI Jinping, che giorni fa è andato appunto a Ryad, nell’Arabia Saudita di Bin Salman. Questo scenario, che dovrebbe rappresentare una sfida per l’Unione Europea, non può ignorare il ruolo di Erdogan. Il “mediatore” tra Putin e Zelensky è un dittatore – santa parola scappata (?) a Draghi – che ha appena fatto condannare a due anni e sette mesi, per aver denunciato nel 2019 una truffa elettorale ai suoi danni, il sindaco turco di Istanbul, Imamoglu, che così non potrà sfidarlo alle prossime presidenziali. Erdogan, che Germania ed Europa pagano perché si tenga i profughi siriani, intende invece spedirli in Siria, in un campo di concentramento a cielo aperto, nella terra di confine che è curda e dove agiscono le milizie curde anti Daesh, note in Italia per l’appoggio di Zerocalcare e di Corrado Formigli.

Per ora i russi, in difesa dell’Iran, e gli americani, per non perdere la faccia (avendo usato i curdi contro l’Isis) glielo stanno impedendo. Ma Erdogan, fatto fuori Imamoglu, ha bisogno di agitare lo spauracchio curdo per poter vincere le elezioni, in un paese con un’inflazione dell’83%. Mi pare chiaro da questo racconto – complicato, lo capisco – ma che spero abbiate seguito, come la pace, il contrasto all’immigrazione, il futuro del Mediterraneo non siano cose che si possano affrontare con slogan ad effetto ma vuoti di contenuto. Servirebbe una strategia per ricostruire una Europa dei diritti, per emanciparsi dalla tutela americana senza calare le brache davanti ai ricatti di Putin, Erdogan, Al Sisi. Mi permetto di offrirvi un’ultima suggestione. Oggi il Sole24Ore, noto giornale sovversivo, afferma che la corruzione a Bruxelles e tra i socialisti europei siede su un sistema corruttivo mondiale che muove dagli Stati Uniti. E cita Sam Bankman-Fried, trentenne miliardario, arrestato dopo che si è sgonfiata la bolla delle cripto valute. Aveva corrotto i repubblicani, e anche i democratici, finanziandoli -dice il giornale di Confindustria – con 73 milioni di dollari.

Forse ora capite perché mi disgustino frasi come “mele marce” (per definizione “poche”), “aspettiamo eventuali condanne” (come se la politica si possa considerare appendice della magistratura), “onestà” (che dovrebbe essere un presupposto per far politica, ma che non è una politica), o rifiuti indignati del tipo: “che schifo”. Visto che siamo figli di questo “schifo”. Non vi chiedo di condividere. Spero che le informazioni contenute in questo post – che non mi costa fatica, perché da 50 anni seguo i fatti del mondo – possano esservi di qualche utilità.

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