Il senso della vittoria di Corbyn
Dal 12 settembre scorso il leader del partito laburista è Jeremy Corbyn, classe 1949, deputato dal 1983, socialista ed ammiratore di Marx. L’outsider della sinistra del partito ha vinto con quasi il 60% e avendo contro gli ex premier Tony Blair e Gordon Brown. C’è chi bollato tale scelta come un comportamento suicida, ma, prima di emettere sentenze, bisogna capire meglio cosa è accaduto nella politica e nella società britannica.
In primavera il premier uscente Cameron ha vinto le elezioni con un programma liberista, nonostante i sacrifici imposti ai britannici da quattro anni di governo, battendo il candidato laburista, il più giovane dei fratelli Milliband, che sosteneva la necessità di una svolta a sinistra del paese. A prima vista non c’è nulla di complesso nel voto dei britannici: la disoccupazione è bassa (nell’ordine del 5%), il paese è ripartito dopo la drammatica crisi del 2008-2009 ed i cittadini hanno riconfermato il governo uscente. A sostenere l’agenda liberista però vi era solo David Cameron; tutti gli altri partiti sia pure con accenti diversi sostenevano politiche redistributive e di minore austerità. Non solo i laburisti, ma anche i liberali, gli indipendentisti scozzesi, gli euroscettici e persino i populisti di Nigel Farage. Bisogna dire che Cameron ha avuto la maggioranza assoluta a Westminster per un pugno di seggi con poco più di un terzo dei voti. A ciò si aggiunge che probabilmente la paura di un governo laburista troppo dipendente dai nazionalisti scozzesi ha giocato a vantaggio dei conservatori del premier uscente e riconfermato.
Sembra dunque ci siano due Gran Bretagne: quella che sceglie David Cameron perché ritiene che non si possono fare altre politiche se non quelle conservatrici se non si vuole convivere con una disoccupazione a due cifre come quella che si rileva nella maggior parte dei paesi dell’Europa continentale, e quella che pensa servirebbe più welfare ed un fisco più equo. A titolo d’esempio anche i liberali alle scorse elezioni parlamentari sostenevano l’introduzione di una patrimoniale. La Gran Bretagna di Cameron è risultata maggioranza in parlamento ma non nel paese ed è evidente che al di là della manica c’è paura per il futuro e soprattutto di un futuro senza welfare.
La Gran Bretagna è ormai un paese di paradossi, che vive in piena occupazione ma con il fiato sospeso. Solo così si spiegano le politiche aggressive di Cameron riguardo ai lavoratori stranieri ed il fatto che nel 2015 anche i libdem, scegliendo come leader Tim Farron hanno virato a sinistra e si sono allontanati da Cameron.
Mai come quest’anno i temi sociali (il salario minimo, la disoccupazione di lunga durata, i sussidi) sono stati presenti nell’opinione pubblica inglese. Per esempio a Londra il salario minimo nazionale, introdotto da Blair alla fine degli anni novanta, non basta e sono nate associazioni che sponsorizzano l’introduzione di un salario di dignità ed ho scoperto i supermercati sono al centro di un ampio dibattito, perché chi li gestisce paga così poco i suoi dipendenti che molti di loro sono percettori di sussidio. In sostanza, come in Germania anche in Gran Bretagna molti ritengono che i salari bassi uniti a sussidi di disoccupazione quasi universali hanno portato a sussidiare i grandi datori di lavoro, che in parte scaricano il loro costo del lavoro sul welfare. Anche i dibattiti sulla buona alimentazione, sempre attuali nei paesi anglofoni, sono diventati una questione di uguaglianza. Povertà e disuguaglianza non sono più solo questioni per economisti e politici.
Anche se c’è piena occupazione e non si registra disoccupazione giovanile tipica di molti paesi europei cresce la paura. In Gran Bretagna le disparità sono fortissime. Secondo l’OCSE è il paese con la più forte disuguaglianza salariale d’Europa, nonostante la politica monetaria della Bank of England sia stata in questi anni più accomodante di quella della BCE e nonostante il deficit della Gran Bretagna sia stato molto più elevato dal 2007 di quello di Germania, Francia ed Italia. I salari non crescono nonostante la piena occupazione e i prezzi degli immobili a Londra sono elevatissimi. La vittoria di Corbyn non è stata il passeggero ed effimero trionfo di un gruppo di nostalgici degli anni settanta, ma il successo dell’altra Gran Bretagna, quella che non crede che i tagli di Cameron siano necessari e quella che vuole più uguaglianza.
Salvatore Sinagra
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