Il valore del capitale sociale (di Claudio Lombardi)
Con i tempi che corrono e con la crisi che ci mette davanti ogni giorno cifre che parlano di soldi può apparire stravagante e astratto parlare di capitale sociale. Certo qui non si parla di capitali definiti con i numeri o con i beni patrimoniali. Qui si parla di fiducia nelle relazioni che si svolgono o sono garantite nello spazio pubblico, si parla di superamento della centralità degli interessi individuali, si parla di regole per i beni pubblici e per i beni comuni.
Con i beni comuni già la cosa si fa concreta. Se l’aria che respiriamo ci avvelena perché qualcuno ha deciso di trattarla come un suo bene privato e l’ha inquinata con sostanze nocive le conseguenze le paghiamo con un peggioramento della qualità della vita e con una maggiore necessità di cure. Il danno che ci viene fatto è reale, la fiducia minore e il capitale sociale diminuisce.
La stessa cosa si può dire della democrazia: se non funziona e non si fonda sul rispetto condiviso delle regole e ognuno cerca di trarre il massimo beneficio individuale perché può imporre la propria personale violazione delle regole poi sono tutti gli altri a pagare il disordine che si è creato. Per esempio, capita che gli elettori puntino a scambiare le utilità che possono trarre a loro personale vantaggio con l’elezione di un politico che, a sua volta, soddisfatte le loro aspettative, utilizzerà le istituzioni per i propri scopi. Hanno condiviso la stessa impostazione culturale, ma i danni prodotti saranno centuplicati da chi esercita il potere. Impoverimento dell’azione pubblica e spreco di risorse assicurati al cento per cento.
Una società che voglia garantirsi sviluppo e benessere questo non può permetterselo. Gli esempi nella storia non mancano. Pensiamo al nostro Sud che secoli fa è stato un territorio all’avanguardia economica e culturale nel mondo occidentale. I lunghi periodi nei quali è stato teatro di ruberie e scorribande di saccheggiatori italiani e stranieri lo hanno condotto allo stato di degrado nel quale lo si è ritrovato al momento dell’unità nazionale e che si perpetua, in parte, ancora oggi con una cultura diffusa e comportamenti che mortificano gli interessi collettivi e il legame politico tra cittadini e Stato.
In altre zone del nostro Paese (o in altre nazioni) è prevalso un comportamento diverso che, non escludendo guerre e sanguinosi conflitti sociali, ha, comunque, portato ad una maggiore cura degli interessi collettivi e della dimensione pubblica. Il discrimine fra le due storie è stato il riconoscimento di questa dimensione come parte dei valori costitutivi degli stati e non appartenente esclusivamente al sovrano. Tale riconoscimento ha permesso che si formasse lo Stato come entità distinta dal patrimonio personale del sovrano. La logica conseguenza è stata la formazione di regole condivise e rispettate e il riconoscimento di uno statuto di cittadinanza fondato su diritti e doveri del cittadino come parte dello Stato e non suddito.
Ovviamente ciò ha comportato la limitazione del potere espresso dall’autorità sovrana che ha dovuto riconoscere l’autonomia della società e limiti alla propria azione espressi in testi costituzionali.
Il capitale sociale è un prodotto storico ed è cosa complessa. Le infrastrutture che produce e di cui ha bisogno per il suo mantenimento non sono fisiche bensì di natura morale, ma condizionano quelle fisiche: inutile costruire un ponte sul quale nessuno passerà perché manca la fiducia e il controllo del territorio è in mano a bande di predoni.
Dunque il capitale sociale è immateriale, eppure molto percepibile. Qualcuno pensa che non si avverta la mancanza della certezza del diritto, della legalità e della cura dei beni comuni?
Anche il capitale sociale ha, però, bisogno di essere ben utilizzato, rinnovato con i giusti investimenti e di produrre valore. Se ci si pensa bene tutte le società si basano, in misura diversa, sull’aspettativa che la fiducia non sia tradita, che le regole stabiliscano comportamenti accertabili e coerenti, che questi siano prevedibili e con conseguenze controllate. La responsabilità personale inoltre, è il necessario sostegno di tutta la costruzione.
Di queste cose è fatto il capitale sociale che può essere mantenuto e incrementato con l’educazione alla cittadinanza responsabile e attiva e con l’organizzazione della partecipazione civica e politica. Senza partecipazione, anche in misura minima, non c’è democrazia e senza questa non c’è cura efficace dei beni pubblici e non si arricchisce il capitale sociale.
Riaffermare questi semplici concetti è necessario oggi perché scontiamo l’effetto di politiche che hanno lasciato libertà assoluta per l’interesse individuale e ne hanno fatto quasi un’ideologia. Se vogliamo cambiare, quindi, dobbiamo partire da qui, da un ribilanciamento fra interesse individuale e collettivo. A questo punto abbiamo capito tutti che stato e società non sono intralci al libero sviluppo delle capacità personali con buona pace della Lady di ferro, Margaret Thatcher, che all’inizio dell’era neoliberista diceva “la società non esiste”.
Claudio Lombardi
è veramente una riflessione illuminante, profonda e semplice allo stesso tempo, vorrei vedere molti articoli di giornale scritti così o sentire tanti altri parlare alla radio o alla televisione con questo stesso stile