Il valore della stabilità e i leader a caccia di voti
Esiste un famoso motto di antiche ascendenze classiche: Dio confonde chi vuol perdere. Frutto di profonda saggezza si può star certi che lo si riscontra facilmente nella realtà e che quasi sempre chi ne è protagonista non vuole ammetterlo. Tra questi c’è sempre qualche leader politico che, a caccia di visibilità e consensi, perde di vista l’essenziale per concentrarsi sul proprio successo personale.
Ci siamo dimenticati di cosa è accaduto l’estate scorsa? Salvini ha scatenato una crisi di governo per andare ad elezioni anticipate in autunno. Il Pd stimolato da Renzi e il M5s su indicazione di Grillo hanno colto l’occasione per formare un nuovo governo e mettere ai margini Salvini precludendogli la corsa elettorale nella quale sperava per conquistare la guida del governo. Cosa voleva fare Salvini se questa prospettiva si fosse realizzata? Lo aveva detto chiaro: far saltare i limiti di bilancio, far esplodere il deficit e dare uno choc fiscale e di spesa pubblica all’Italia. La rottura con l’Europa era dietro l’angolo. Ciò che dicono adesso i massimi dirigenti della Lega e lo stesso Salvini circa l’irreversibilità della scelta europea e dell’euro non lo dicevano certo appena tre mesi fa. Anzi, i Borghi e i Bagnai erano gli apripista di una rotta di collisione progettata, prevista e descritta in documenti, programmi elettorali e comunicazione pubblica.
Se gli italiani volessero potrebbero mettere a confronto ciò che il Capitano stava preparando appena pochi mesi fa con le dichiarazioni attuali. Qualcuno potrebbe porgli una semplice domanda: stai mentendo adesso o ci stavi prendendo in giro allora? In entrambi i casi facevano bene i mercati cioè chi finanzia il nostro debito e gli altri paesi europei a non fidarsi del governo italiano.
Per fortuna Renzi e Grillo hanno avuto l’intuizione giusta e si è formato il governo Pd-M5s-Leu al quale si è aggiunta adesso Italia Viva con un programma che mira a completare la legislatura. D’altra parte la mania di affrontare i problemi a colpi di elezioni alla ricerca del leader carismatico e quella di finalizzare le scelte politiche al piccolo cabotaggio della propaganda elettorale è quanto di più deleterio ci possa essere.
Stando così le cose ed essendo trascorso poco più di un mese dalla formazione del governo cosa sarebbe stato intelligente fare? Semplice: tenere fede all’impegno preso con gli italiani mostrando loro che l’instabilità veniva dalle aspirazioni roboanti della destra sovranista e che i partiti della nuova maggioranza possedevano la capacità di guidare il Paese a recuperare stabilità.
Per l’Italia la stabilità è un bene prezioso che si traduce in fiducia all’esterno e all’interno. E la fiducia è la base sulla quale diminuisce lo spread e può crescere l’afflusso di investimenti. È anche il presupposto di ogni manovra espansiva con l’appoggio dell’Unione europea e della collaborazione per la gestione del flusso di immigrati.
Il primo obiettivo del nuovo governo doveva essere questo: stabilità e fiducia. Ben sapendo che l’eredità del governo precedente sarebbe stata difficile da gestire.
Niente da fare. Sono bastate poche settimane e il clima di concordia è saltato. Di Maio si è messo in competizione con Conte per recuperare la sua centralità come capo politico del M5s ignorando del tutto le critiche e i mutamenti negli equilibri interni di quel partito. Da un lato sfida Conte e dall’altro lancia messaggi a portatori di interessi dai quali spera di ricevere voti e sostegno per condurre la sua battaglia nel M5s e la sua ascesa al vertice del governo. I temi sono quelli delle partite Iva e dell’evasione fiscale. Le prime devono veder confermati i benefici altamente iniqui verso la massa dei contribuenti a reddito fisso decisi dal precedente governo (flat tax del 15% e 20% fino a 100 mila euro di reddito annuo). La seconda è solo un fenomeno di “grandi evasori” e la massa di quelli che notoriamente evadono può stare tranquilla perché nessuno chiederà loro niente. Si può dire che è una posizione che guarda agli stessi voti della Lega? Sì è evidente.
L’altro che si è messo a contestare le scelte della manovra (scritta, approvata e inviata a Bruxelles) è Renzi. Nel merito ha molte ragioni e deve dimostrare che il partito da lui fondato si distingue dagli altri, ma che fosse un governo fondato su compromessi lo sapeva da prima. Non poteva aspettare qualche mese per i suoi distinguo? Ma nemmeno per idea. Appena ha visto i sondaggi superare il 5% dei voti e gonfiarsi le iscrizioni all’ultima Leopolda si è messo a puntare i piedi per recuperare centralità e visibilità. Uno stillicidio di puntualizzazioni, dichiarazioni, preannunci con la scelta dei temi che più possono provocare una frattura tra le forze di maggioranza.
Su tutto domina la tattica. Le forze di maggioranza, con l’esclusione del Pd di Zingaretti (e di Leu) che cerca di restare fuori dalle polemiche quotidiane, sembrano non avere idea di cosa fare nei prossimi sei mesi e già si parla di una crisi di governo a gennaio per sostituire Conte addirittura con un accordo Renzi – Di Maio per mettere quest’ultimo a Capo del governo. Già il fatto che si diffondano queste voci provoca un avvelenamento del clima e fornisce un formidabile pretesto a Salvini che si ripropone come il leader di uno schieramento di destra unito. Si disperde così il capitale di credibilità conquistato appena un mese fa.
Tutto per le ambizioni personali che cercano di imporsi in una corsa a colpi di scena e capovolgimenti di corto respiro. Il tutto a beneficio di platee virtuali e reali. In questo modo non si prepara nulla di buono per la maggioranza degli italiani che possono a buon diritto confermare la loro sfiducia nelle forze politiche in lotta per il potere
Claudio Lombardi
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