ILVA: girare pagina non è semplice, meglio girare il libro (di Michele Pizzuti)

ILVA di Taranto. Una trappola senza uscita o con l’unica uscita possibile che termina con una trappola. Qualunque cosa fai-dici-pensi-progetti essa ha forti possibilità di essere rigettata. Tento di approfondire il problema. L’ILVA inquina e va chiusa subito? Oppure si, vabbè, inquina, ma va bonificata, però in alcuni anni e continuando a produrre?

La Magistratura non conosce vie di mezzo, o meglio conosce l’unica via, quella della legalità e perciò applica la legge: l’ILVA inquina, è pericolosa per la salute pubblica, ergo va fermata. Il Governo da par suo non si è lasciato intimorire e di fronte all’ordine di sequestro ha reagito, spinto da mille ragioni (politiche, di opportunità, di piazza, di economia produttiva strategica) ed ha emana un decreto legge e afferma: tre anni per ristrutturare e intanto si continua  a produrre.

Allora, qual è la cosa giusta? Ah sì c’è quel microscopico particolare da tenere in leggerissima considerazione: 13 mila lavoratori (più quelli dell’indotto) che non possono da un giorno all’altro restare senza stipendio. Allora che si fa? Molti chiedono la nazionalizzazione. Si fermi la produzione e si faccia pagare dallo Stato i lavoratori per tutti gli anni necessari alla ristrutturazione. Ah già, altro piccolo problemino: nel frattempo dove si comprerà l’acciaio non più prodotto a Taranto? E come lavoreranno le altre fabbriche del gruppo che dalla produzione di Taranto dipendono? Ma con l’acciaio comprato all’estero! Quindi si chiude l’Ilva, si compra l’acciaio all’estero, lo Stato paga i lavoratori di Taranto (circa 20mila con l’indotto) impiegandoli (in parte) nelle attività di bonifica e fra qualche anno si vedrà se la nuova ILVA potrà ancora produrre acciaio con gli impianti rinnovati e a chi lo potrà vendere. Semplice no?

Sì, però se questa è la solfa più armonica, allora lo Stato dovrebbe anche tirar fuori i soldi per non chiudere gli ospedali romani, oppure per non licenziare 276mila precari dalla pubblica amministrazione, oppure per… e poi e poi, per tante altre cose. Ma lo Stato non è un sogno dove tutto si avvera, è una costruzione umana che vive nella storia e va avanti adeguandosi alle condizioni reali. Non basta dire: nazionalizziamo e assumiamo tutti e 20mila i lavoratori. Bisogna dire come questo si concilia con tutti gli altri impegni e con tutte le altre esigenze alle quali lo Stato deve far fronte. Il ragionamento non è politico in senso stretto, purtroppo è semplicemente ragionevole. E forse solo per questo appare di primo acchitto ideologico. Altre idee? E i proprietari che fanno? Ecco, i proprietari, giusta riflessione.

Ci sarebbero (dovrebbero essere) i Riva, responsabili dell’inquinamento a dover tirare fuori i soldi e sembra che il decreto legge a questo li obblighi, pena multe salate e l’esproprio. Ma la questione non cambia di molto: ILVA è e ILVA rimane.

Comunque si dice: la salute delle persone è un valore assoluto protetto dalla Costituzione e nessuna mediazione è possibile. Giusto.

Cambiamo scenario. Da Taranto arriviamo a Roma in un giorno feriale in una delle tante vie invase dal traffico. Lunghe code di vetture, motociclette, bus, camion e camioncini occupano le strade. I veicoli stanno quasi fermi, però i motori sono in funzione e da migliaia di tubi di scappamento, polveri sottili e gas velenosi vengono immessi nell’aria in quantità industriale.

La stessa cosa si può dire per tante altre città grandi, medie e piccole. Ognuna ha la sua bella coda e il suo bel traffico. Il danno per la salute è ben conosciuto nonostante le normative impongano limiti di emissione molto bassi, ma, pur sempre, nocivi. L’unico modo per evitarlo sarebbe l’uso di veicoli elettrici o a gas. Tutti gli altri fanno male. Certo molto di meno rispetto al passato, ma la salute non si giova certamente a respirare i prodotti della combustione di gasolio e benzina.

Anche in questo caso c’è un valore assoluto che viene intaccato. Forse la concentrazione di veleni rispetto all’ILVA è minore, forse è diversa. Anzi, no, senza forse, è minore e diversa. Ma che vuol dire? Che ci si possono fare le cure termali coi tubi di scappamento? No, è ovvio.

Però nessuno pensa di bloccare tutti i motori a benzina e gasolio e si procede un passo alla volta con le euro 1, 2, 3, 4, 5 e i blocchi in certi giorni. Niente di risolutivo però. Come mai?

Altro esempio ancora più ridotto. Dietro casa mia c’è stato per anni un accampamento di persone che vivevano anche commerciando il rame e bruciando gomma e plastica per ricavarlo. Le baracche erano coperte di amianto che si sfarinava e si disperdeva nell’aria. Nessuno è intervenuto perché quelle persone non si potevano spostare né si potevano controllare. Alla fine un grande incendio ha bruciato tutto,  amianto compreso e l’aria che ho respirato è stata zuppa di particelle tossiche rilasciate dalla combustione di quei materiali. Nessuno è intervenuto. Solo dopo l’inevitabile sgombero e dopo altri 2-3 mesi si è bonificata l’area. Nel frattempo io e altre decine di persone siamo stati danneggiati senza colpa.

Una piccola vicenda, ma la mia salute per me è un valore assoluto. Eppure nessuno lo ha tutelato e nessuno si è scandalizzato.

Altri esempi di questo tipo potrebbero essere fatti, ma sempre ci si imbatterebbe in una constatazione: che tutta la storia dell’uomo è fatta di aggiustamenti progressivi verso uno stato di maggior benessere. Chiudere una pagina e aprirne un’altra richiede tempo, non è un’operazione intellettuale, non è un gioco di idee e di concetti scritti in comunicati o in documenti. Ci vogliono azioni concrete, piccole e grandi. Natura non facit saltus diceva uno qualche secolo fa, ma non parlava dell’ILVA. Insomma l’ILVA inquina, ma è tutta la nostra storia ad essere inquinata e lo scopriamo adesso e in quattro e quattr’otto vogliamo aggiustare tutto? Insomma la logica è: fermate il mondo che voglio scendere. Vabbè, ho capito, sto provocando ed esagero. Ma è tutto l’amianto che ho in corpo che sta già facendo effetto sulla mia mente …. Alla prossima, per ora basta così.

Michele Pizzuti

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