Immigrazione: ci vorrebbe un colpo d’ala
Sull’immigrazione non c’è più nulla da scoprire. C’è sempre stata e gli esseri umani si sono sempre spostati alla ricerca di migliori condizioni di vita. In Europa da almeno vent’anni è diventata un fenomeno di massa. In Italia anche, ma con una particolarità: gli ingressi regolari sono molto difficili. Una legge del 2002, la Bossi-Fini, stabilisce che si possa entrare solo se in possesso di un contratto di lavoro e poiché è quasi impossibile che un datore di lavoro assuma un lavoratore senza nemmeno conoscerlo da vent’anni gli ingressi irregolari sono diventati la regola. I decreti flussi provvedono ogni anno a rendere legale ciò che in partenza non lo è. La politica ha deciso così nel 2002 e da allora nessun governo ha osato cancellare una legge che crea problemi e iniquità ai danni degli italiani e degli stranieri che vogliono lavorare in Italia.
Ogni anno gli arrivi via mare suscitano grandi allarmi e grandi polemiche e l’attenzione si concentra su chi parte dalle coste africane. Una buona parte degli immigrati, però, arriva con un visto turistico (filippini e sudamericani innanzitutto) e quindi senza suscitare alcun clamore. I nuovi arrivati si inseriscono da subito in circuiti già creati dai loro connazionali che accolgono, assistono, formano e avviano al lavoro. Gli sbarchi invece creano molti problemi innanzitutto perché sono molto visibili e trasmettono l’idea di qualcosa che viene imposto dall’esterno. Su questa parte dell’immigrazione si sono formate da anni due fazioni contrapposte (accogliamoli-respingiamoli) che dividono i partiti e garantiscono riserve inesauribili di scontri polemici sul filo di idealismi inconciliabili molto sfruttati nelle campagne elettorali.
Gli africani sono i più svantaggiati. Sono quelli che svolgono i lavori più penalizzanti, che sono costretti a chiedere l’elemosina e forniscono manovalanza per svariate attività illegali. Sono anche quelli che vengono parcheggiati nei centri per l’accoglienza o dispersi sul territorio e non vengono aiutati a formarsi ed integrarsi né dai loro connazionali né dalle strutture pubbliche. Organizzazioni religiose o di volontariato forniscono loro assistenza , ma spesso sono ospitati in strutture private che ricavano dai rimborsi pubblici cospicui guadagni.
L’immigrazione irregolare è destabilizzante? Dipende. Una filippina che va a lavorare come badante anche se priva di permesso di soggiorno non crea nessun problema. Un africano privo di sostegni in lotta per sopravvivere in una situazione ostile può diventare un grande problema. E’ così che anche il modo in cui è arrivato assume una valenza diversa e viene avvertito come una minaccia. La destabilizzazione, inoltre, deriva anche dai numeri. Assistere diecimila migranti è un conto, centomila un altro. Se l’accoglienza è pensata per far fronte ad eventi eccezionali e non permanenti finirà per non funzionare. Se poi l’accoglienza è solo un parcheggio per attendere una decisione sull’asilo o sull’espulsione, se si fa in modo che duri a lungo senza che si sviluppino attività capaci di legare il migrante al paese che lo sta ospitando e se la segreta speranza è che i migranti se ne vadano altrove allora il fallimento è inevitabile.
Come si affronta il problema immigrazione? Nel modo indicato dal governo attuale: privilegiare gli ingressi regolari esaminando anche le domande di asilo nei paesi di transito, stringere accordi con i paesi della costa africana per limitare le partenze e con i paesi di origine per creare occasioni di lavoro che inducano le persone a non andarsene. La redistribuzione in Europa tanto invocata invece non è poi molto importante perché l’Italia dovrebbe fare i conti con le quote degli altri paesi. Determinante è invece cancellare le norme della Bossi-Fini che impediscono di rilasciare permessi di soggiorno nei paesi di partenza. Aumentare le quote di ingressi regolari serve per togliere spazio ai viaggi della speranza e della disperazione e per assicurare viaggi sicuri sia a chi cerca lavoro che a chi chiede asilo.
La strada è questa, inutile distrarsi seguendo i maestrini che hanno sempre la ricetta migliore. Non di sole lezioncine banali si tratta però, ma di veri atti di sabotaggio per bloccare gli accordi con i paesi di partenza. Tutti sanno che l‘attuale ondata di migranti dalla Tunisia è figlia del mancato rispetto degli accordi firmati a luglio da Ursula Von der Leyen. I partiti avversari di Giorgia Meloni che occupano importanti posizioni di potere in Europa e che controllano alcuni governi hanno deciso che bisognava creare un grosso problema all’Italia per mettere in crisi il governo di destra e hanno bloccato l’erogazione dei fondi alla Tunisia. In nome di cosa? A parte i pretesti giuridici, la sostanza politica è sempre la stessa: i migranti devono arrivare liberamente. In Italia ovviamente perchè Francia e Germania hanno chiuso le frontiere. Buonisti sì ma a casa degli altri.
Abbiamo bisogno della manodopera degli immigrati? Sì, ma non culliamoci nella finzione che il popolo delle barche ci porti in dono i lavoratori che ci mancano. È fin troppo evidente che se abbiamo bisogno di operai specializzati, di tecnici, di ingegneri non li troveremo lì. Non subito almeno. Tra giovani italiani che non lavorano, non studiano e non si formano più i disoccupati più quelli che vanno a cercare lavoro all’estero avremmo risorse umane di milioni di persone. Spesso la narrazione che prevale mette insieme il lamento per gli italiani che non accettano i lavori richiesti dal mercato e invoca per loro l’assistenza pubblica e il lamento sulla necessità di migranti per rispondere a queste richieste. È fin troppo ovvio che conviene a molti datori di lavoro poter contare su masse di disperati da sfruttare o che si accontentano dei bassi salari italiani (magari pure in nero) piuttosto che mettersi alla prova cercando di incrementare la produttività e pagare meglio i loro dipendenti. Il giochetto ormai dovrebbe essere ben conosciuto per non cadere ancora nell’inganno.
Un altro lamento è sulla crisi demografica. Da un lato generare un figlio è considerato un affare privato al quale si può concedere al massimo qualche incentivo. Dall’altro lato ci aspettiamo che gli immigrati facciano ciò che non riusciamo a fare noi. Forse dietro c’è un pensiero non espresso: loro si accontentano di poco (come nel lavoro) e quindi possono fare quei sacrifici che la genitorialità comporta. Poi per completare il quadro rendiamo pure molto difficile la concessione della cittadinanza ai loro figli anche se sono italiani a tutti gli effetti. Forse bisognerebbe cambiare registro: esaltare la funzione della donna, l’unica che può generare una vita (eh già essere donna non è una percezione di sè, ma una realtà biologica), spianare la strada alle madri (non a tutte le donne) in ogni ambito nel quale vogliano cercare la loro realizzazione, considerare la loro funzione riproduttiva come il primo compito che deve svolgere una comunità.
Insomma intorno all’immigrazione un groviglio di contraddizioni, di ipocrisie, di furbizie che prima o poi ci farà del male se non riusciamo a scioglierlo nel modo migliore. Ci vorrebbe un colpo d’ala che metta insieme maggioranza e opposizione per superare vecchie polemiche e costruire un po’ di futuro
Claudio Lombardi
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