Immigrazione e infermieri, un caso esemplare

Che abbiamo bisogno degli immigrati lo si è detto tante volte ed è conoscenza condivisa che molto spesso (per non dire sempre) i vuoti che gli stranieri sono chiamati a colmare riguardano lavori che gli italiani hanno abbandonato e ai quali non sono più interessati perché obsoleti, poco retribuiti, privi di prospettive di carriera. Il caso degli infermieri è emblematico. Nei giorni scorsi il ministro della salute ha annunciato un accordo per reclutare migliaia di infermieri in India. La spiegazione sta nei numeri che sono impietosi, ma chiari: 465mila sono gli infermieri in attività in Italia, 65 mila in più quelli che servirebbero, 30 mila gli infermieri italiani che hanno preferito andare a lavorare all’estero, il 10% è il calo delle iscrizioni ai corsi di laurea in infermieristica.

Come ricorda Barbara Mangiacavalli, presidente di Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), “Abbiamo investito sulla loro formazione ma non abbiamo creato le condizioni per convincerli a restare in Italia. C’è chi nel Regno Unito oggi guadagna in una settimana una cifra pari allo stipendio mensile che avrebbe percepito se fosse rimasto nel nostro Paese. Al contempo siamo costretti a cercare infermieri stranieri”. Inoltre, tra 7-8 anni sarà raggiunta la “gobba pensionistica” e si prevede che in 100mila lasceranno la professione.

In una lettera inviata alla premier Meloni, Barbara Mangiacavalli lancia un grido d’allarme: la professione che amiamo e che onoriamo quotidianamente sta morendo; nell’arco di pochi anni, lo Stato non sarà più in grado di garantire il diritto alla salute e all’assistenza a tutti i cittadini.

Per evitarlo la presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche ritiene necessarie alcune misure: incremento della retribuzione, evoluzione della formazione verso lauree magistrali specialistiche a indirizzo clinico, un cambio immediato dei modelli organizzativi con maggiore autonomia infermieristica, nonché nuovi sbocchi di carriera.

Carichi di lavoro insostenibili, retribuzioni non adeguate e scarse opportunità di carriera sono solo alcuni degli aspetti che incidono negativamente su un quadro ormai compromesso e che aggraveranno ulteriormente la carenza di infermieri che ci attanaglia da tempo – spiega Mangiacavalli – La questione non riguarda ormai solo la sfera socio-sanitaria, ma sta assumendo i connotati di una vera e propria crisi che coinvolge l’intero sistema Paese. Modelli organizzativi vetusti, norme ordinamentali non aggiornate, miopie del passato contribuiscono a un mondo obsoleto in cui facciamo fatica a riconoscerci. E questo concorre a rendere poco appetibile la nostra professione.

Il quadro dunque è chiaro: l’inserimento di personale straniero sarà solo un palliativo e una perdita per il sistema paese se non si riuscirà a rendere appetibile il lavoro per coloro che sono già formati e a spingere i giovani italiani a scegliere la professione infermieristica.

Detto in altre parole: mettere al lavoro gli immigrati può anche essere un segnale di incapacità di rinnovarsi e di migliorare imponendo retribuzioni e condizioni di lavoro inadeguate a chi non può rifiutarle mentre tanti italiani preferiscono andare a lavorare all’estero. Il caso degli infermieri di questo ci parla

Claudio Lombardi

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