Intervista ad un educatore di frontiera (di Salvatore Sinagra)
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista a Pierluigi, 38 anni, laureato in filosofia che lavora la mattina a scuola ed il pomeriggio in un campo rom, aiutando i giovani che frequentano le scuole medie. Il testo integrale si trova nella sezione “Documenti”.
Tu lavori in un campo rom, ho capito che cerchi di far studiare i giovani rom, di farli almeno arrivare alla licenza media, ma effettivamente di cosa ti occupi? Sei un insegnante? Sei un mediatore culturale?
Sono un operatore sociale che svolge, la mattina, un’attività di sostegno e mediazione scolastica, presso due scuole medie del Quartiere 4 di Firenze, e, il pomeriggio, un’attività educativa di strada presso i villaggi del Poderaccio I e II di Firenze che si traduce in interventi di recupero e sostegno extra-scolastico, e mediazione, intesa come facilitazione, accesso e fruizione ai servizi socio-sanitari.
Gli obiettivi principali sono quelli di contrastare il più possibile la discriminazione, facilitare e sostenere percorsi scolastici, sia a livello didattico che socializzativo, agire contro la dispersione scolastica, partecipare, più o meno direttamente, nello specifico, alla formazione degli insegnanti.
Dal riconoscimento reciproco parte e si sviluppa il lavoro. I ragazzi, i minori, sono quello che sta davanti, più a diretto contatto con noi. Ci si rende conto, piano piano, che quello con cui si lavora sono le famiglie. Le stesse famiglie poi appartengono a gruppi, con diversi sistemi di riferimento culturale, che nel tempo si sono a loro volta in parte modificati, proprio a causa della loro storia, del luogo di provenienza e del livello di integrazione/emarginazione che si sono trovati a vivere.
L’ obiettivo primario che sottende i servizi è quello di facilitare dei percorsi di cittadinanza. Quello che più è emerso, infatti, è che molte persone residenti nei due villaggi si trovano a vivere quella che tecnicamente viene definita cittadinanza imperfetta.
Ma non c’è il rischio che la vostra attività possa essere o possa essere percepita come un processo di assimilazione?
Purtroppo molti interventi sulla scolarizzazione dei minori rom, specialmente in passato, di fatto, più o meno implicitamente, miravano all’assimilazione, partendo dal presupposto che i rom non avessero un’ educazione, così come dei genitori degni di questo nome; in pratica che fossero un po’ come primitivi che necessitassero di un processo di civilizzazione ed evoluzione, che si serviva come strumento primario della scuola. Alla nascita del primo progetto, circa il 30% dei ragazzi rom residenti nell’allora campo arrivava a conseguire la licenza media; oggi ci arrivano altre il 90%, la maggior parte dei quali frequenta poi almeno il primo anno della scuola superiore.
Ma che vuol dire cittadinanza imperfetta?
Si tratta di uno status che ha una certa ambiguità e che causa grossi problemi a chi lo subisce. In pratica si tratta di avere sulla carta certi diritti, ma che di fatto restano inaccessibili o del tutto negati. Si pensi a coloro che hanno chiesto un permesso di soggiorno, sono in attesa del completamento del relativo iter ed hanno in mano un foglio di carta che attesta che la loro richiesta è attualmente sottoposta al vaglio della pubblica amministrazione, purtroppo chi vive in questa condizione, se si trova nella necessità di dover lasciare l’Italia (magari perché un proprio familiare è in fin di vita), non può più rientrare. Attualmente, in Italia, la legge che regola i permessi di soggiorno è fallimentare e crea maggiori difficoltà e ingiustizia proprio a danno di chi più si impegna a svolgere un normale percorso di vita. Una riforma della legge sulla cittadinanza, così come auspicata ultimamente dal Presidente Napolitano, sarebbe un notevole passo avanti verso l’integrazione e, al tempo stesso, la migliore legge sulla sicurezza. Una legge che genera precarietà e che criminalizza la clandestinità che essa stessa con estrema facilità produce, genera insicurezza e illegalità.
Che differenza c’è fra campo e villaggio?
Il campo è un insediamento spontaneo o edificato dalle amministrazioni comunali, mutevole, fatto nel primo caso da baracche, composte da lamiere, plastiche, pezzi di legno, ecc.; da container e roulotte nel secondo. I villaggi (Poderaccio I e II) sono un progetto del Comune di Firenze, avviato in collaborazione con la Regione (dopo un incendio, non doloso, in cui ha perso la vita una bambina di cinque anni) con l’obiettivo di “mettere in sicurezza” 72 famiglie, che vivevano nella baracche e che sono state trasferite in casette in legno per esigenze abitative temporanee, che sarebbero dovute essere le loro abitazioni per sette anni. È anche vero che, in un certo senso, il “campo fa campo”. Tutti i residenti dei villaggi, in linea di principio, accetterebbero una casa, ma fuori dal campo fanno fatica, e spesso si trovano a perdere tutta una rete di reciproca assistenza che vivendo vicini di casa, o almeno nella stessa zona, hanno garantita.
Ma non c’è il rischio che il comune spenda tanto ma che alla fine i rom non riescano a “camminare con i loro piedi”? Cosa pensano i fiorentini?
Esistono diritti civili stabiliti dalla Costituzione e da documenti di organizzazioni internazionali che devono essere garantiti ed esiste il problema del populismo; vi è anche una strategia europea di inclusione dei Rom. Non si può inseguire la pancia dell’uomo comune. Il giudizio della gente deve essere guidato, bisogna far capire alle persone che per partire tutti dallo stesso livello a qualcuno deve essere dato di più. Il problema delle minoranze viene declinato troppo spesso solo in chiave di sicurezza, facendo leva sulla paura .
A proposito di sicurezza, ti faccio una domanda, è vero che i rom delinquono più degli altri cittadini o si tratta solo di luoghi comuni?
Ti rispondo che purtroppo una domanda del genere si può fare, nella maggior parte dei casi, senza dare adito a scandalo. Questo perché lo stereotipo del rom ladro, violento, incivile, pericoloso, ecc., è tra i più trasversalmente radicati. I pregiudizi sui rom sono tra i più forti rimasti. Se solo provassimo a sostituire al termine “rom”, nella tua domanda, il termine “italiani”, sarebbe più facile per noi capirne l’assurdità; ma se l’avessimo fatto in America negli anni ’20, subito sarebbe stato nuovamente accettabile.
Vero è che se a chi è più in difficoltà ed è più emarginato, e spesso vittima del pregiudizio della società dominante, invece di facilitargli percorsi di cittadinanza, glieli precludi, anche attraverso leggi espulsive, si creano le condizioni che favoriscono ulteriore emarginazione ed espongono questa gente a cadere vittime dell’illegalità e della criminalità. Le politiche che mirano a combattere il disagio sono i migliori strumenti di sicurezza; viceversa approcci “muscolari” repressivi ed espulsivi, che si concentrano solo sugli effetti e non sulle cause, come la tanto discussa legge Bossi-Fini, non hanno fatto altro che creare insicurezza favorendo le organizzazioni criminali.
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