Investimenti vo cercando…
Non c’è articolo di giornale o discorso di politici che non parli della necessità di espandere gli investimenti. Pubblici e privati ovviamente. Il controllo diretto però lo Stato lo ha solo su quelli pubblici. Per gli altri bisogna creare condizioni favorevoli e incentivanti. Quelli pubblici però possono essere trainanti e imprimere uno slancio all’economia oltre che cambiare la situazione infrastrutturale del Paese. Dirlo, però, non significa farlo e ogni tanto bisogna pure ricordare che si tratta di una materia spinosa. Marco Ruffolo alcune settimane fa su Repubblica ha fatto il punto della situazione partendo dall’avvio del governo Renzi. Al suo esordio il nuovo governo trovò “una macchina delle opere pubbliche ridotta più o meno così: progetti portati avanti senza uno straccio di valutazione, zero risorse o quasi per interventi salva-vita come la difesa del suolo e la messa in sicurezza degli edifici, fondi europei non spesi o sprecati in una miriade di micro-interventi affidati alla cieca a Comuni e Regioni, dieci anni di attesa e più per il completamento di infrastrutture di oltre 50 milioni di euro”.
Dopo circa tre anni alcuni cambiamenti si erano realizzati. Una lenta ripresa degli investimenti pubblici in primo luogo, ma, rilevava Ruffolo, le grandi opere di collegamento come l’alta velocità “hanno a disposizione molte più risorse delle opere salva-vita, quelle che dovrebbero prevenire alluvioni, frane, crolli di edifici e incidenti ferroviari”. Avere risorse, però, non significa spenderle. Risale a pochi mesi fa la denuncia dell’Ufficio parlamentare di bilancio sull’assoluta incapacità dei ministeri nella valutazione dei progetti e l’assenza di una seria programmazione nazionale.
Un deficit di capacità storico si potrebbe dire. Prosegue l’analisi di Marco Ruffolo che fissa alcuni punti. Innanzitutto le risorse che adesso ci sono. Infatti “L’Italia ha vinto due battaglie con Bruxelles ottenendo da una parte la fine del patto di stabilità interno che impediva a molti Comuni di investire e dall’altra la possibilità di finanziare in deficit parte degli investimenti già decisi”; inoltre sono cresciute le risorse per le infrastrutture segnando un’inversione di tendenza dopo che “tra il 2008 e il 2015 i soldi per le opere pubbliche sono crollati del 42,6%. Questa volta dunque i soldi ci sono. Come si stanno spendendo e con quali priorità?”
I terremoti del 2016 hanno costretto a rimettere al centro le opere di messa in sicurezza sia degli edifici che del territorio, ma hanno anche messo a nudo i limiti di un apparato pubblico farraginoso reso ancor più lento dalle norme per prevenire la corruzione.
Nemmeno la constatazione che i danni sono sempre stati di gran lunga superiori ai costi della prevenzione ha cambiato granchè. La questione cruciale è però quella della capacità di valutazione, di decisione e di realizzazione.
L’Ufficio parlamentare di bilancio in suo recente studio afferma che: “I ministeri non dispongono di personale interno con le competenze professionali specialistiche necessarie, e lo stesso si può dire per i Nuclei di valutazione. Non c’è scambio di informazioni all’interno, non sono mai state applicate sanzioni per chi non fa il suo dovere”. Non c’è quindi da stupirsi se i progetti sono fatti male e si impantanano in un crescendo di tempi e di costi. Le competenze per di più sono frammentate con Regioni e Comuni che hanno il potere di rallentare ogni opera e di aprire un contenzioso dopo l’altro. Conclude l’analisi di Marco Ruffolo: “Di fronte a questo affresco di deresponsabilizzazioni, si capisce come in tutti questi anni siano finiti i soldi dei progetti europei: da una parte in maxi-opere che si sono presto impantanate con costi e tempi fuori controllo, dall’altra in migliaia di micro-progetti locali che non rientrano in nessuna strategia nazionale”.
Claudio Lombardi
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