IRPEF, quei 5 milioni di italiani con il Paese sulle spalle

È stato presentato il rapporto dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2022 realizzato dal Centro studi itinerari previdenziali. Di seguito pubblichiamo un estratto dall’approfondimento a cura di Mara Guarino tratto dal sito https://www.itinerariprevidenziali.it

 

Il totale dei redditi prodotti nel 2020 e dichiarati nel 2021 ai fini IRPEF è ammontato a 865,074 miliardi, per un gettito IRPEF generato di 164,36 miliardi (147,38 per l’IRPEF ordinaria; 11,99 per l’addizionale regionale e 4,99 per l’addizionale comunale), in calo del 4,75% rispetto all’anno precedente. Mentre quasi la metà degli italiani (il 49,15%) addirittura non dichiara redditi, tra i versanti è l’esiguo 12,99% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su a corrispondere da solo il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

CHI FINANZIA IL WELFARE?

Nel 2020 sono stati necessari 122,72 miliardi per la spesa sanitaria, 144,76 per l’assistenza sociale e altri 11,3 per il welfare degli enti locali. Un conto totale di 278,78 miliardi che viene finanziato attingendo alla fiscalità generale: a queste sole 3 voci di spesa sono state dunque destinate nell’ultimo anno di rilevazione tutte le imposte dirette IRPEF, addizionali, IRES, IRAP e ISOST e anche oltre 50 miliardi di imposte indirette. Negli ultimi 13 anni i redditi dichiarati sono cresciuti del 10% circa, meno dell’inflazione ed enormemente meno della spesa pubblica e, in particolare, di quella assistenziale aumentata del 98% e arrivata a toccare già nel 2020 un valore pericolosamente vicino a quello del gettito dell’IRPEF ordinaria. Restano per altre funzioni statali, indispensabili allo sviluppo del Paese (come scuola, infrastrutture, investimenti in capitale e così via), solo le residuali imposte indirette, le accise e la strada del debito.

DAI REDDITI DICHIARATI L’IMMAGINE DI UN PAESE DI POVERI

Su 59.641.488 cittadini residenti in Italia all’1 gennaio 2020 sono stati 41.180.529 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi. A versare almeno 1 euro di IRPEF sono stati però solo 30.327.388 residenti, vale a dire poco più della metà degli italiani: a ogni contribuente corrispondono quindi 1,448 abitanti. Una fotografia che sembrerebbe poco veritiera guardando invece a consumi e abitudini di spesa (e più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7): eppure, il 79,2% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro e corrisponde solo il 27,57% di tutta l’IRPEF, e quindi un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di welfare.

Nel dettaglio, da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 9.209.590 soggetti, il 22,36% del totale, che pagano in media 22 euro di IRPEF l’anno. I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono 8.052.960: in questo caso, al netto del bonus Renzi e del TIR, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 367 euro, a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari a circa 2.060 euro. Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato (17.500 euro la mediana) si trovano 5,570 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.852 euro; seguono da 20.001 a 29.000 euro 8.707.798 contribuenti versanti. Se si sommano tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia che il 79,20% dei contribuenti italiani versa soltanto il 27,57% di tutta l’IRPEF, e probabilmente una percentuale ancora minore delle altre imposte. Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 3.217.343 contribuenti pari a 4.659.657 abitanti: questi contribuenti versanti, il 7,81%, pagano un’imposta media annua di 6.377euro, che si riduce a 4.403 euro per singolo abitante, e versano complessivamente il 12,48% delle imposte.

A salire, la scomposizione mostra invece che poco più di 5 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro, nella sostanza, sostengono il peso del finanziamento del nostro welfare state. Più precisamente, esaminando le dichiarazioni a partire dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 100mila euro, l’Osservatorio individua solo l’1,21%  dei contribuenti che, tuttavia, versa il 19,91% delle imposte. Sommando a questi contribuenti anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro (che sono 1.385.974, il 3,37% del totale, e pagano il 18,14% del totale delle imposte), si ottiene che il 4,58% paga il 38,05% dell’IRPEF. Includendo infine anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta infine che il 12,99% dei contribuenti paga il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

LA REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

Secondo Alberto Brambilla presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali la differenza tra le diverse classi di reddito è troppo marcata ed è destinata ad aumentare per l’effetto dei bonus e delle agevolazioni varie previste per i redditi medio-bassi. «Giusto aiutare chi ha bisogno ma i nostri decisori politici tendono a trascurare come queste percentuali dipendano in buona parte da economia sommersa, evasione fiscale e assenza di controlli adeguati, per le quali primeggiamo in Europa: è davvero credibile che oltre la metà degli italiani viva con meno di 10mila euro lordi l’anno?».

Tra i falsi miti sfatati dalla pubblicazione c’è di riflesso anche quello dell’oppressione fiscale, che vuole tutti i cittadini tartassati dal fisco e penalizzati da imposte eccessive. Solo per pagare la spesa sanitaria, per i primi 2 scaglioni di reddito fino a 15mila euro, la differenza tra l’IRPEF versata e il costo della sanità ammonta a 51,817 miliardi; la differenza sale a 58,2 miliardi sommando i redditi da 15 a 20mila euro. Considerando anche spesa assistenziale e welfare degli enti locali, la redistribuzione totale è pari a 219 miliardi su circa 555 di entrate, al netto dei contributi sociali. In pratica, viene redistribuito il 40% di tutte le entrate e quasi il 100% delle imposte dirette, che va totalmente a beneficio del 58,06% di popolazione (corrispondente a quanti dichiarano fino 20mila euro) e, in parte, al restante 28,96% (corrispondente ai dichiaranti tra i 20 e i 35mila euro); poco al 12,99% dei paganti. «Un costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti di cui quest’enorme platea di beneficiari non si rende neppure conto» precisa Brambilla. Redditi, peraltro lordi, e non certo da “ricchi” che scontano però l’italico paradosso secondo il quale più tasse si pagano e meno servizi si ricevono: una progressività occulta e pericolosa, che penalizza quanti contribuiscono regolarmente e incentiva i cittadini a evadere o dichiarare meno così da non rinunciare a prestazioni sociali o altre agevolazioni da parte di Stato, Regioni e comuni.

LE PROPOSTE

Per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali occorre lavorare su soluzioni nuove, concretamente calate nella realtà del Paese e che sappiano superare il fin troppo banalizzante dualismo tra “ricchi” e “poveri”.

Se il contrasto di interessi tra clienti e fornitori diretti di beni e servizi potrebbe rivelarsi un ottimo modo per favorire l’emersione e al tempo stesso agevolare le finanze delle famiglie italiane, un maggiore sviluppo del welfare aziendale, insieme alla detassazione di premi, aumenti salariali e straordinari, potrebbe essere la giusta via per ridurre il cosiddetto cuneo fiscale-contributivo a carico dei lavoratori dipendenti in modo equo e sostenibile per le casse dello Stato. Infatti, per i redditi fino a 25 mila euro l’erogazione di quote di retribuzione esentasse fanno “perdere” allo Stato solo un’IRPEF molto bassa, abbondantemente recuperata con la tassazione diretta e indiretta imposta quando queste somme vengono spese.

(Foto principale di Gerd Altmann da Pixabay )

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