Irpef una riforma da fare

Per ora se ne parla poco e quasi solo sui siti specializzati e in ambiti ristretti, ma di certo il tema della riforma dell’ Irpef prima o poi emergerà alla luce dell’attualità politica. Diciamolo con le parole di ricercatori e studiosi che sul sito www.lavoce.info hanno avviato da tempo una discussione sul tema.

1.L’urgenza di una riforma dell’Irpef. La principale criticità dell’attuale Irpef è “l’elevato livello delle aliquote marginali e medie, e di quelle marginali effettive, che a causa di detrazioni decrescenti rispetto al reddito sono ancora più alte di quelle formali, soprattutto a redditi medio-bassi”.

2.L’equità. Secondo Dario Stevanato il sistema impositivo è cambiato rispetto alle sue intenzioni originarie. Non si tratta più di un’imposta personale sul reddito, ma di un insieme di “imposte reali sulle singole categorie di reddito, tassate con aliquote proporzionali, accanto a un’imposta speciale progressiva sui redditi di lavoro”.

equitàL’esempio che porta l’autore è quello dei redditi di capitale tassati in “modo sostitutivo e proporzionale, con aliquote differenziate: proventi finanziari, capital gain, canoni di locazione, plusvalenze immobiliari, pagano aliquote diverse l’una dall’altra”.

Inoltre “alcuni redditi con preponderante componente lavorativa scontano miti aliquote proporzionali (autonomi minimi) o sono esentati (imprenditori agricoli). Quanto ai redditi di impresa individuale o società di persone, l’Iri (imposta sul reddito imprenditoriale) consente di tassare gli utili con la stessa aliquota dell’Ires”.

E quindi?

L’insieme di questi micro-sistemi sostitutivi secondo Stevanato “viola il principio di equità orizzontale e attua una discriminazione qualitativa alla rovescia, in genere penalizzando i redditi di lavoro – dipendente e autonomo – rispetto a quelli fondati sul capitale”.

Per queste ragioni l’autore ritiene giustificata la riduzione delle aliquote effettive sui redditi di lavoro “di fatto gli unici che oggi pagano aliquote progressive”.

aliquote irpef3. Le aliquote reali. Ruggero Paladini e Fernando Di Nicola analizzano le aliquote Irpef dimostrando che sono meno delle cinque formali stabilite dalle normative. Chiaramente viene presa in considerazione l’imposta netta effettivamente prelevata ai contribuenti. Ciò comporta che “già sopra i 28mila euro incominciano a esserci contribuenti con un’aliquota marginale vicina al 42 per cento e spesso superiore al 43 per cento”. L’obiettivo diventa quindi far scendere le aliquote marginali e medie per i lavoratori con redditi bassi e medi, ma alzandole per i redditi più elevati (da 200mila euro in su).

4. Il sistema attuale è iniquo perché fa pagare troppo a pochi. Questa è la questione di fondo che, insieme all’evasione fiscale, schiaccia i contribuenti onesti e fa mancare soldi allo Stato. Una ricostruzione dei flussi fiscali compiuta sul Corriere della Sera da Alberto Brambilla è impressionante.

“Nel 2015, il 45,48% dei cittadini — 27,59 milioni di abitanti —ha pagato 185 euro di Irpef a testa; in pratica solo il 4,87% dell’Irpef totale.   (…)  I dichiaranti nel 2015 sono stati 40,77 milioni ma solo 30,9 milioni hanno presentato una dichiarazione dei redditi positiva, per cui considerando che gli italiani sono 60,665 milioni, possiamo dedurre che oltre la metà (50,9%) degli italiani non ha reddito, ovvero è a carico di qualcuno”.

contribuenti fiscoIn particolare “i primi 18.542.204 contribuenti (il 45,48%, di cui 6.704.584 pensionati), dichiarano redditi lordi da 0 a 15 mila euro, quindi vivono con un reddito medio mensile di circa 625 euro lordi, meno di quello di molti pensionati (mediana di 7.400 euro). Questi 18.542.204 contribuenti, cui corrispondono 27,59 milioni di abitanti, anche grazie alle detrazioni, pagano come dicevamo all’inizio, 185 euro l’anno di Irpef. La spesa sanitaria pro capite è pari a circa 1.850 euro, per questi primi tre scaglioni di reddito la differenza tra l’Irpef versata e il solo costo della sanità ammonta a 50,13 miliardi che sono a carico degli altri contribuenti; e parliamo solo della sanità ma poi ci sono tutti gli altri servizi di Stato ed enti locali che qualcun altro si dovrà accollare”.

E quindi chi paga? Sopra i 300 mila euro lo 0,08% dei contribuenti paga il 4,92% dell’Irpef complessiva. Sopra i 200 mila euro di reddito lo 0,2% dei contribuenti paga il 7,56% dell’Irpef. Sopra i 100 mila euro l’1,08% paga il 17,22% dell’Irpef. Se si mettono tutti insieme a chi ha redditi lordi sopra i 55 mila euro si ottiene che il 4,27% dei contribuenti paga il 34,02% dell’Irpef. Aggiungendo anche i redditi sopra i 35 mila euro lordi abbiamo che l’11,97% dei contribuenti paga il 53,7% di tutta l’Irpef.

evasori fiscaliFa notare Brambilla che “il reddito spendibile, per via dell’impossibilità di accedere a molti servizi pubblici gratuitamente perché titolari di redditi non tutelati (esenzione da ticket, utilizzo dei mezzi pubblici con sconti e via dicendo), è diminuito e con esso si è impoverita la classe media”.

I dati esposti nell’articolo di Alberto Brambilla sono inesorabili e dicono che i soldi mancano perché pochi pagano le spese di tutti. Si tratta di oltre 153 miliardi di euro che è la quota parte del costo del servizio sanitario e degli interventi assistenziali di quelli che non contribuiscono con un Irpef sufficiente. Ma poi ci sono anche le pensioni. Ricorda l’autore dell’articolo che 10 milioni di soggetti che non dichiarano nulla ai fini Irpef, sono anche privi di contribuzione.

Un quadro chiaro. Noi siamo abituati a tollerare evasione, elusione, regimi particolari con trattamenti di favore. Ma oggi questo sistema non si regge più e, purtroppo, nemmeno una riforma dell’Irpef è risolutiva anche se necessaria. Il rischio è che i soldi continueranno a mancare e i redditi medi e bassi continueranno a sostenere le spese di tutti impoverendosi. Comunque possiamo stare certi che la lotta all’evasione farà parte anche del programma del prossimo governo come avviene da molti anni a questa parte. E quindi possiamo stare tranquilli, no?

Claudio Lombardi

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