Israele Palestina Hamas e noi
La professoressa Daniela Santus ha pubblicato sul Foglio del 13 novembre un ampio articolo che affronta gli aspetti più controversi suscitati dal conflitto in corso tra Israele e Hamas. Ne diamo conto con alcuni estratti.
Su Israele e sul popolo ebraico si pensa davvero di sapere tutto e i pregiudizi si sprecano. Gli ebrei sono ritenuti tutti ricchi e per questo meritevoli di un giusto disprezzo. Finiamo col ripetere mantra, per certo aggregativi, ma del tutto privi di dubbi.
Uno di questi mantra fa riferimento, come s’è detto, a Israele come stato in cui si pratica l’apartheid. Questo senza neppure riflettere sul fatto che non vi sono, in Israele, mezzi di trasporto o scuole o quartieri vietati agli arabi. Basti pensare che negli ultimi sette anni il numero degli studenti arabi nelle università israeliane è cresciuto del 78,5 per cento. Possibile poi che nessuno si sia mai accorto che vi sono diversi partiti arabi rappresentati al parlamento israeliano e che, volendo, gli arabi possono anche presentarsi e venire eletti tra le fila dei partiti tradizionali? Il governo precedente a quello di Netanyahu, ad esempio, aveva al suo interno il partito arabo-islamico Raam con quattro seggi. Di fatto gli arabi in Israele godono di pieni diritti politici e civili e possono assurgere a qualsiasi carica, al pari dei cittadini ebrei. In queste ore, nell’esercito israeliano, stanno combattendo per Israele cittadini arabi, drusi, beduini, ebrei, islamici, cristiani, atei.
Il secondo mantra riguarda Gaza, percepita dai più come palestinese e islamica da sempre. Dal 1917, quando l’Impero ottomano viene sconfitto, la storia è nota: il Mandato britannico sulla Palestina (che comprendeva gli attuali Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza, oltre all’attuale Regno di Giordania) dura sino al 1948. In quell’occasione avendo i leader ebrei accettato la spartizione dell’Onu nasce lo Stato d’Israele, mentre la Cisgiordania, a seguito della guerra araba contro il neonato Stato d’Israele, viene annessa alla Giordania e la Striscia di Gaza finisce sotto occupazione egiziana. Per ben 18 anni – dal 1949 fino al 1967 – Gaza rimane sotto il governo militare egiziano. Come conseguenza della guerra dei Sei giorni (1967), viene occupata da Israele che ne amministra il territorio sino al 1993. A partire da quella data, grazie alla “dichiarazione di principi” nota come “accordi di Oslo”, la quasi totalità del territorio di Gaza e della Striscia passa sotto il controllo dell’Autorità palestinese, mentre gli insediamenti ebraici continuano a essere difesi dall’esercito d’Israele sino al 2005. Tuttavia da quel momento Israele procede allo smantellamento delle colonie ebraiche e delle basi militari israeliane, ponendo così definitivamente termine all’occupazione.
Le domande, a questo punto, sono due: 1) perché tra il 1949 e il 1967, quando Striscia di Gaza e Cisgiordania sono in mani arabe, non nasce lo Stato di Palestina? 2) perché, a partire dal 2005, dopo la fine dell’occupazione di Gaza non nasce il primo nucleo di Stato palestinese?
In seguito alle elezioni amministrative del 2006 la Striscia di Gaza è governata da Hamas e, dal 2012, è riconosciuta dall’Onu come parte di un’entità statale semiautonoma. Purtroppo i continui scontri lanciati contro Israele – cui Hamas continua a negare il diritto ad esistere – e le conseguenti risposte militari israeliane hanno portato la città e la regione a un evidente stato di prostrazione economica e sociale.
Molti dei nostri studenti e delle nostre studentesse ritengono che l’islam sia la fede più antica, nata in Palestina. Questo crea confusione anche per la comprensione dell’attualità, inducendo a percepire gli ebrei come europei colonizzatori di terre da sempre arabe. E proprio su temi come questi si gioca la disinformazione.
Di fatto Maometto, il profeta dell’islam, ha predicato per tutta la sua vita tra La Mecca e Medina, nella penisola araba, a 3.500 km da Israele. Non si è mai recato a Gerusalemme e mai ha avuto interesse nella conquista d’Israele. Gerusalemme rappresenta da sempre il cuore della spiritualità ebraica. Nel 132 d.C. l’Imperatore Adriano fa radere al suolo Gerusalemme e tenta di cancellarne ogni ricordo a partire dal nome. Gerusalemme viene così ricostruita secondo la pianta tradizionale degli accampamenti romani e chiamata Aelia Capitolina, mentre la Terra d’Israele viene ridenominata Siria-Palestina. Ecco da dove nasce il nome Palestina!
Il Corano non cita mai espressamente Gerusalemme. Alla città di Gerusalemme l’islam non ha infatti mai conferito lo status di haram, luogo santo, che è unicamente conferito alla Mecca e a Medina.
Un punto su cui vorrei porre l’attenzione e su cui l’accordo tra israeliani e palestinesi si è arenato negli anni può essere ricondotto all’inamovibile richiesta palestinese del “ritorno” di circa 8 milioni di profughi (erano 700 mila nel 1948 ndr) all’interno dei confini d’Israele. Si tratta di una condizione difficilmente accettabile da Israele, messa tuttavia sul tavolo delle trattative sia da Arafat che da Abu Mazen e che ha sortito quale unica conseguenza l’impossibilità per i palestinesi di avere un proprio stato: i due leader, nel corso dei decenni, hanno così continuato a rifiutare qualsiasi proposta di pace. Le città palestinesi non sarebbero state in grado di fornire un ambiente di vita adeguato ai loro abitanti. E neppure Israele ci sarebbe riuscito.
Prendiamo una carta del Medioriente e cerchiamo Israele. Lo trovate? E’ davvero difficile tanto è piccolo. Ora cercate l’Iran. Più semplice da trovare, vero? Sì, perché l’Iran è 80 volte più grande d’Israele. Eppure si ipotizza che l’Iran sia uno dei registi che sta dietro all’attacco del 7 ottobre.
Si parla di risposta non proporzionata da parte d’Israele. Tuttavia quale mai risposta può essere proporzionata e contestualmente efficace per evitare il ripetersi di pogrom efferati? Incredibile il fatto che, in nome di una presunta pace, soprattutto tra gli intellettuali ci sia chi chiede un immediato cessate il fuoco, brevemente accennando alla “brutale aggressione” di Hamas sulla popolazione “per lo più civile” e puntando il dito accusatore su Israele, definito come responsabile di 75 anni di “segregazione” etnica.
Perché in nessuno di questi appelli firmati da tanti intellettuali si chiede l’immediato rilascio degli ostaggi? Perché chi apparentemente lotta per i diritti umani ha un atteggiamento differente quando si tratta di ebrei? Perché non ci si rende conto che un cessate il fuoco avrebbe quale unica utilità quella di permettere ad Hamas – e non alla popolazione palestinese – di rifornirsi di armi, cibo, acqua, carburante? Hamas ha letteralmente costruito una città sotterranea, ma non esiste nemmeno un rifugio per i civili: perché i miliziani, che non si fanno scrupolo di sparare missili dalle scuole e dagli ospedali, non permettono ai civili di rifugiarsi nei tunnel che sorgono sotto Gaza? Tante domande destinate a rimanere senza risposte.
Pensiamo in ultimo ai motivi dell’attacco del 7 ottobre. Molti opinionisti televisivi suggeriscono si sia trattato di una reazione al governo di Netanyahu.
In realtà qualcos’altro stava accadendo. Nell’ottobre 2023 Israele stava per siglare uno storico accordo di pace con l’Arabia Saudita. Per farlo, i sauditi avevano richiesto anche significative concessioni per i palestinesi. Ovviamente una situazione di questo genere, foriera di una pacificazione dell’area e, potenzialmente, favorevole a un ritorno sulla scena politica dell’Autorità palestinese di Abu Mazen non poteva essere accettata dalla strategia jihadista di Hamas. Così, la mattina del 7 ottobre, i miliziani di Hamas hanno optato per la strage più cruenta mai compiuta.
Incredibile che soltanto pochissimi intellettuali, in occidente, si siano scandalizzati di fronte a un gruppo terroristico che non si fa scrupolo nel dichiarare di voler continuare a compiere altri attentati, come pochi giorni fa ha promesso un alto funzionario di Hamas – Razi Hamed – che in un’intervista riportata anche da Repubblica ha affermato: “Ripeteremo le azioni del 7 ottobre finché Israele non sarà distrutto”. Mentre Taher El-Nounou, consigliere di Hamas per i media, ha dichiarato al Times: “Spero che lo stato di guerra con Israele diventi permanente su tutti i confini e che il mondo arabo si schieri con noi”.
La cattiva informazione, le astute omissioni, il desiderio di sentirsi parte di un gruppo, un’immigrazione incontrollata e non integrata hanno portato in meno di un mese al triplicarsi degli atti di violenza antisemita in Austria, Francia, Germania e Regno Unito, come anche e soprattutto nelle università e nelle scuole americane. Non ci si può nascondere dietro l’antisionismo per mascherare odio o ignoranza. Il movimento di Hamas va fermato, a meno di voler essere complici. Perché è vero che la situazione israelo – palestinese da sempre provoca animosità, ma difficilmente ci si sofferma a pensare che i costi della non pace vengono pagati da entrambe le parti. Migliaia di persone stanno morendo a Gaza, ma per Hamas questo è un prezzo equo da pagare per la distruzione d’Israele. Siamo davvero certi che questo prezzo il popolo palestinese lo voglia pagare?
Quanto a me, non posso che ribadire: non voglio la cancellazione del popolo palestinese, ma non voglio neppure la cancellazione del popolo d’Israele. Vorrei la fine del regime di Hamas e un futuro sicuro e di pace per palestinesi e israeliani. Mi piacerebbe che ci lavorassimo tutti insieme
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