La Campania verso l’autodistruzione ? (di Paolo Miggiano)

Secondo i più autorevoli esperti del campo dei rifiuti, la cosiddetta emergenza rifiuti in Campania in realtà è tale solo perché è stata interrotta in più punti la catena raccolta differenziata – tritovagliatore – compostaggio – termovalorizzatore – discarica.

La catena si spezza già al primo anello: la raccolta. Infatti, in regione si producono ogni giorno circa 7mila tonnellate di rifiuti; un groviglio di appalti e subappalti mette in gioco diverse società con migliaia di dipendenti (a Napoli: ASIA 3mila, che affida il servizio a Enerambiente con 470 addetti che si avvale della cooperativa Davideco con 120 dipendenti e degli interinali che sono altre 150 unità). In tal modo lievitano costi e clientele.

Secondo anello: la differenziazione. Per legge la raccolta differenziata dovrebbe essere al 40% in modo da far finire in discarica poco più della metà dei rifiuti prodotti. Oggi siamo in tutta la regione a 1400 tonnellate differenziate delle oltre 3mila teoriche. Purtroppo oltre ai controlli inadeguati bisogna dire che una responsabilità ce l’ha anche la scarsa sensibilità di una parte della popolazione.

In Campania non funzionano impianti per il compostaggio e così là dove si raccoglie l’umido i comuni si devono caricare di una spesa aggiuntiva di 200 euro a tonnellata per portarlo fuori regione.

Terzo anello: i trito vagliatori, creati per trasformare la spazzatura in materiale ad alto potenziale calorifico (CDR) che dovrebbe finire nei famosi termovalorizzatori. Invece ci sono le ecoballe prodotto dell’uso dei trito vagliatori come semplici sminuzzatori del rifiuto tal quale limitandosi a separare l’umido dal ferro.

Altro anello: il termovalorizzatore. Dovrebbe trattare 2mila tonnellate al giorno. Invece non va oltre 500 tonnellate e nemmeno sono CDR e producono problemi come sbalzi di temperatura dannosi per l’impianto.

Ultimo anello: le discariche. Se il sistema funzionasse riceverebbero non più di 2mila tonnellate al giorno. Invece ne ricevono più di 5100 con inevitabili tempi più rapidi per il loro esaurimento.

Dunque la Campania va verso l’autodistruzione, non in generale, ma nella gestione dei rifiuti.

A ciò hanno contribuito tanti fattori con in prima fila la gestione “politico-amministrativa” fatta di tante ordinanze “strane”, di errori e di finta ignoranza della situazione reale. Come quella esibita dalla legge n. 1 del 2011 dedicata al subentro delle amministrazioni territoriali della regione Campania nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti. Come se fosse facile in questa regione per un comune organizzare e gestire il ciclo integrato dei rifiuti quando già non si riesce, con alcune importanti eccezioni, a gestire la sola raccolta. È chiaro che la legge non serve a questo, bensì a moltiplicare i centri di spesa e a ridurre le resistenze istituzionali alle infiltrazioni della camorra perché, ovviamente, un sindaco è più debole di un presidente di regione. Ricordiamoci che pochi mesi fa è stato ucciso il sindaco Angelo Vassallo perché si stava opponendo alla delinquenza.

Di fronte all’incapacità delle istituzioni di far fronte ad un problema così importante che sta alla base della vita delle comunità locali fa impressione leggere gli articoli dello Statuto regionale che proclamano solennemente la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, del territorio, dell’ecosistema, la difesa delle piante e dei diritti degli animali ecc ecc.

Intanto le strade si stanno di nuovo riempiendo di rifiuti mentre è ripartita la caccia alla discarica guardando in primo luogo alle cave dismesse da riempire.

Ora, il problema è che la quasi totalità delle cave dismesse in Campania è stata ubicata in ammassi rocciosi permeabili (calcare, tufo, ghiaia) che nel sottosuolo ospitano le falde idriche che alimentano gli usi agricoli, industriali, potabili.

Inoltre, molte cave sono state scavate a fossa come quelle che si trovano ai margini della pianura campana tra Pozzuoli, Giugliano, Villaricca, Chiaiano, la zona vesuviana, il casertano (Lo Uttaro) e il nolano.

Purtroppo applicando le discipline vigenti per la trasformazione delle cave in discariche non è possibile garantire l’impermeabilità dei terreni per più di venti anni e se saranno immessi i rifiuti senza altre precauzioni è certo l’inquinamento delle acque sotterranee di tutta la pianura campana.

E che vuol dire questo nel quadro delle variazioni climatiche in corso che determinano un innalzamento delle temperature? Semplice: si pomperà più acqua dal sottosuolo e si arriverà alle acque più inquinate quindi non utilizzabili. La Campania non avrà acqua in futuro.

È facile immaginare che su questa strada in Campania la questione rifiuti continuerà ad essere una minaccia per la salute dei cittadini, un colpo alle attività del settore agroindustriale, uno spreco immenso di risorse pubbliche e di soldi dei cittadini (a Napoli i cittadini pagano più che in tutta Italia per l’inesistente servizio rifiuti).

Ecco perché, continuando su questa strada, c’è solo l’autodistruzione che parte dai rifiuti, ma giunge a paralizzare un’intera regione.

È una situazione che dura da molti anni creata e gestita da una classe dirigente che, secondo indagini della magistratura, si basa sempre più su un patto di ferro che unisce politici e  imprenditori della camorra.  Alcuni di questi politici sarebbero anche arrivati ad incarichi di grande responsabilità e di rilievo nazionale. In pratica dirigono snodi fondamentali dell’azione dello Stato o dirigono le forze politiche che esprimono i vertici delle istituzioni regionali e locali.

Ciò determina un effetto “trascinamento” anche fra i cittadini che vedono l’esempio calare dall’alto e si abituano alla violazione delle regole e alla distruzione dei beni comuni.

Questo è, forse, il danno maggiore perché tocca le culture che formano le collettività e che indirizzano le vite dei singoli.

Paolo Miggiano

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