La Caritas chiede una riforma del Reddito di cittadinanza

Di povertà si parla molto e qualcosa si fa. Il Reddito di cittadinanza è uno dei principali strumenti cui si è fatto ricorso. Ricordiamo bene l’esaltante grido di Di Maio lanciato dal balcone di Palazzo Chigi: “abbiamo abolito la povertà!”. È andata proprio così? Vediamo che ne pensa chi della povertà e dell’emarginazione ha fatto il cuore della propria azione. La Caritas italiana ha presentato il suo Rapporto sulla Lotta alla povertà nei giorni scorsi. Si tratta di un monitoraggio sul Reddito di cittadinanza elaborato da operatori Caritas, studiosi di varie università, di centri di ricerca e dell’Ocse e basato sulle rilevazioni dei centri Caritas.

Il primo risultato al quale è pervenuto il Rapporto è che il Reddito di cittadinanza, mettendo in campo una spesa di 8 miliardi di euro, ha protetto un’ampia fascia di popolazione durante la crisi, ma occorre che vi si metta mano per riformarlo e renderlo più efficace.

Nessuna contraddizione, ma la constatazione che il Reddito di cittadinanza non raggiunge tutti i poveri. Se è vero che il 44% dei nuclei familiari in difficoltà ne usufruisce ciò corrisponde ad oltre la metà che ne è privo. D’altra parte la ricerca mette in luce come il 36% di coloro che ricevono il RdC non è povero. Non si tratta solo di truffe che a migliaia sono state scoperte in questi anni, ma dei cosiddetti “falsi positivi” che, singoli o coppie (41% e 21%), non sono considerate poveri in base alle misurazioni statistiche, ma rientrano nei parametri stabiliti per il Rdc. In particolare, vengono escluse dai benefici famiglie povere che risiedono al Nord, con figli minori e il richiedente è straniero con meno di 10 anni di residenza.

Nel Rapporto si afferma che “attualmente sono escluse dalla possibilità di richiedere il Rdc 4 famiglie straniere su 10. Il requisito economico che più di tutti restringe l’accesso alla misura alle famiglie in povertà assoluta è invece quello del patrimonio mobiliare (da 6mila a 10mila massimo, solo due terzi di queste lo soddisfa). E, a causa di una scala di equivalenza “piatta” che sfavorisce le famiglie numerose e con figli minori, il tasso di inclusione del Rdc è decrescente all’aumentare del numero di componenti all’interno del nucleo”.

A questo dato si aggiunge che, fra le famiglie in povertà assoluta (misurata in base al costo della vita, all’area geografica e alla dimensione del comune di residenza) quelle che hanno accesso al RdC sono il 37% nel Nord, al Centro il 69% e nel Sud il 95%. Di contro, le soglie e gli importi del Rdc sono indifferenziati.

In sintesi, sono penalizzati dai criteri attuali i nuclei con figli minori, quelli residenti al Nord, gli stranieri e chi ha qualche risparmio. Si può ben dire, quindi, che non tutti i poveri prendono il RdC e non tutti coloro che lo prendono sono poveri.

Dai dati relativi ai beneficiari dei servizi della Caritas emerge che il RdC non riesce ad intercettare i nuovi profili di povertà, ossia quelli dei nuclei caratterizzati da un’età giovane, dalla presenza di figli minori e da un tasso di occupazione minimo, ma con guadagni molto bassi. Di contro sono più coperte le fasce più marginali senza occupazione e con redditi nulli.

Un altro dato importante che emerge dalla ricerca è che il 51% delle famiglie beneficiare del Rdc presenta contemporaneamente tre o più profili di difficoltà (lavoro, salute, esclusione sociale, ecc.).

È significativo che nessun beneficiario del Rdc preso in carico dai Centri per l’impiego ha dichiarato di aver partecipato ad un ciclo di corsi di formazione. Al contrario, il 70% dei beneficiari dice di non aver ricevuto alcun tipo di formazione e questa quota è addirittura più marcata nelle famiglie maggiormente esposte a marginalizzazione. Il significato di questo dato è chiaro: nessun aiuto è stato dato per uscire dalla condizione di marginalità, ma solo per sopravviverci.

Interessante la parte del Rapporto nella quale si osserva che molti “non hanno acquisito neppure il titolo di studio obbligatorio per legge, o sono giovani che non studiano né lavorano. Sono tutti dotati di smartphone, ma non sanno usarlo per effettuare ricerche su internet, non sanno redigere un curriculum vitae e, in alcuni casi, non parlano la lingua italiana». Insomma si tratta di persone difficilmente collocabili nel mercato del lavoro senza un minimo di formazione.

La Caritas propone “un’agenda per il riordino del Reddito di cittadinanza” a partire da quattro presupposti: il Rdc è importante nel fronteggiare la povertà; sono maturi i tempi per un riordino finalizzato a rafforzarlo; vi è un’ampia concordanza nella ricerca scientifica sulle principali aree di miglioramento; vi è la necessità di un insieme limitato d’interventi disegnati con precisione chirurgica. In base a questi presupposti la Caritas indica alcune azioni: ampliare i criteri di accesso per gli stranieri diminuendo gli anni di residenza richiesti; innalzare le soglie del patrimonio mobiliare in generale e quelle economiche del Nord; adottare una scala di equivalenza non discriminatoria per le famiglie numerose; restringere i criteri di accesso per le famiglie di una sola persona e per le coppie, oggi troppo “generosi”. Quanto a inclusione sociale e lavorativa, la priorità è promuovere il coordinamento tra i soggetti della rete, rafforzare le assunzioni di assistenti sociali e riorientare i percorsi per il lavoro permettendo il cumulo tra Rdc e reddito da lavoro. Infine, individuare nuove misure specifiche per coloro che sono temporaneamente non occupabili.

Insomma per la Caritas non ci vogliono né referendum abrogativi, né slogan politici, né battaglie ideologiche, ma una riforma che cambi il RdC rendendolo più efficace per sollevare le persone dalla povertà

Claudio Lombardi

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