La crescita del Pil non basta. Il freno del sistema Italia
Un po’ di ripresa economica è arrivata, le esportazioni tirano, l’occupazione aumenta. È quindi il momento giusto per essere lucidi e realisti e individuare quel che proprio non va e che rischia di tenere frenata l’Italia facendola apparire un Paese debole e confuso. Purtroppo non è soltanto apparenza. La sensazione è quella di essere prigionieri di un sistema istituzionale che non funziona più, di apparati pubblici inefficienti e di una cultura politica e civile che esalta la frammentazione e il culto degli interessi particolari.
Per questo non basta la ripresa economica ed il rischio serio è quello di scivolare indietro piuttosto che andare avanti. Lo snodo cruciale è quello della politica e, quindi, delle istituzioni. Abbiamo passato anni ad immaginare che la spinta alla semplificazione e all’efficienza sarebbe passata da un sistema elettorale maggioritario e altrettanti a studiare e dibattere un assetto istituzionale diverso da quello stabilito dalla Costituzione. Tra voto del 4 dicembre e sentenze della Corte Costituzionale siamo tornati indietro su tutti i fronti. Nulla è cambiato nell’assetto istituzionale e il sistema elettorale per ora è quello ritagliato dalla Consulta.
La vittoria del NO ha sancito una disfatta dei partiti e del Parlamento. Al Pd e a Renzi va riconosciuto il merito di aver provato in condizioni difficili a superare gli eterni limiti dell’inconcludenza parolaia che affligge il sistema italiano. Se fino a ieri si riconosceva l’esigenza di una maggiore governabilità ora si esalta la supremazia del principio di rappresentanza che trasforma ogni piccola componente in una potenziale minoranza di blocco. Un bel modo per governare una società complessa e un’economia avanzata.
E a proposito di economia la sorpresa è che il Pil è dato in crescita più di quanto ci si aspettasse. Tuttavia la crescita è mondiale e il merito non è di tutti. Trainano le esportazioni, frenano le aziende di servizi e quelle di proprietà pubblica. Un freno ancora maggiore viene dall’inefficienza della macchina amministrativa, dalla carenza di infrastrutture e di servizi adeguati. Tutte cose che si traducono in sprechi di tempo e denaro.
Bisogna riconoscere che molto è stato fatto nel corso degli anni, ma la distanza con le migliori esperienze europee resta ampia con alcune punte di vera e propria arretratezza. Si sta concludendo un’estate nella quale sono emersi lo stato disastrato della rete idrica e la situazione di perdurante abbandono del territorio. Sia nell’un caso che nell’altro si è sollevato un gran clamore per problemi ampiamente conosciuti che vengono a galla solo quando ci si trova di fronte al dramma. I tecnici e i politici sanno che c’è un problema strutturale, ma lasciano fare al “tran-tran” dell’ordinaria burocrazia e, in molti casi, usano i problemi per campare di rendita.
Il fatto è che chi governa ad ogni livello è ostaggio dei voti presi e, spesso, della breve durata del suo mandato. Siamo stati abituati a governi che se durano due anni sembra già un successo, tre una svolta. La conseguenza più ovvia è un’esorbitante presenza di apparati amministrativi che ispirano, indirizzano, suggeriscono, interpretano, attuano a modo loro le scelte politiche (di cui loro stessi hanno provveduto a scrivere le norme).
Un discorso a parte merita il sistema giurisdizionale che, sul versante delle cause civili, è uno degli elementi principali dell’inefficienza che ci caratterizza e che rende il concetto di giustizia molto aleatorio. Dal versante penale viene un notevole contributo all’instabilità. Alcuni settori della magistratura inquirente hanno stabilito un filo diretto con gli organi di informazione (è stato definito come circo mediatico giudiziario) assumendo un peso politico che non sarebbe consentito dalla divisione dei poteri. Per anni è bastato l’avvio di un’inchiesta per far cadere governi, amministrazioni locali e portare alla conclusione di carriere politiche e al fallimento di imprenditori.
Spesso non si arriva a svolgere i processi perché le inchieste si rivelano assolutamente infondate, ma producono danni alle persone che vengono coinvolte. E anche quando si arriva al processo molti si concludono con assoluzioni che dovrebbero essere imbarazzanti per chi ha mosso le accuse. E sono comunque tutti di durate esagerate, tali da congelare la vita delle persone in attesa di una sentenza. Probabilmente è arrivato il momento di mettere un freno alle iniziative temerarie dei magistrati che, è bene ricordarlo, non rispondono mai di ciò che fanno. Ma le riforme della giustizia di cui si discute riflettono tutte il timore dei politici di non mettersi contro la più potente corporazione italiana protetta da un ordinamento che ne assicura l’autonomia, ma le consente nello stesso tempo di invadere il campo degli altri poteri dello Stato senza rispondere delle conseguenze.
Molto altro ci sarebbe da dire, ma la sintesi è che se vogliamo diventare un Paese serio ed essere presi sul serio dobbiamo avere una visione lucida e concreta dello stato delle cose. Se preferiamo l’eterna sceneggiata del chiacchiericcio inconcludente i problemi ce li terremo e chi ci guarda dall’esterno si regolerà di conseguenza
Claudio Lombardi
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