La crisi Usa che non si vede
In questi anni i mezzi di informazione ci hanno dato l’idea che mentre gli Stati Uniti dove è nata la crisi ripartivano l’Europa rimaneva nel pantano. La stampa anglofona definisce l’Unione Europea come un sistema non riformabile e considera il nostro welfare insostenibile. Si pensi a Wolfgang Münchau che afferma tutti i giorni che l’euro imploderà domani, sostiene che il sistema pensionistico tedesco collasserà e considera la Francia una Germania dell’Est dei nostri giorni, salvo poi dover ammettere che probabilmente Parigi ha beneficiato dell’euro almeno quanto Berlino. Federico Rampini che da molti anni vive dall’altra parte dell’Oceano afferma che per gli americani l’Europa è una grande repubblica di Weimar, incapace di guarire dai suoi mali. Eppure non sono così sicuro che da un lato vi sia l’America che corre e dall’altro l’Europa che sprofonda. La crisi Usa c’è, ma non si vede. E’ una crisi di città e non di sistema.
Di recente l’Internazionale ha tradotto in italiano un articolo del Time dedicato a Flint, piccolo centro del Michigan alle prese con una drammatica crisi sanitaria. Flint, fondata nel 1908, è nota perché è stata la cittadina in cui è nata la General Motors. Negli anni settanta contava circa 30.000 abitanti, contro i 20.000 attuali. Dal 2011 ben quattro commissari straordinari si sono alternati alla guida della città. Le famiglie più agiate sono andate via, la popolazione della città oggi è a maggioranza afroamericana ed il reddito medio è pari alla metà di quello del Michigan.
Nel 2011 la vicina Detroit, oltre 4 milioni di abitanti, anche lei con una storia legata all’automobile ed anche lei in declino demografico, ha dichiarato default ed ha stralciato 8 dei suoi 20 miliardi di debiti. Oltre a tagliare i servizi pubblici e le pensioni degli ex dipendenti comunali, Detroit ha “ritariffato” i servizi dell’acquedotto di sua proprietà. Il commissario straordinario di Flint ha deciso che la città si sarebbe sganciata dal sistema idrico di Detroit e che Flint avrebbe costruito un suo acquedotto che però non sarà in funzione prima del 2019. E’ stato poi stabilito che Flint nel breve e medio periodo si sarebbe rifornita d’acqua dall’omonimo fiume che l’attraversa la città, scelta discutibile per un centro con una storia industriale.
Un fortunato romanzo di un autore emergente, Philippe Meyer, si intitola Ruggine americana, è ambientato all’inizio del millennio e racconta il declino economico e demografico di una vallata che è stata un tempo un’area industriale: chi può scappa via, chi non può fronteggia non solo problemi economici ma anche problemi sanitari tra cui la depressione. Nel caso di Flint la ruggine non è solo la metafora di una terra che non si è adeguata ai tempi, ma è anche una sostanza che abbonda nell’acqua che esce dai rubinetti. Il già citato articolo racconta che nonostante i molti pareri negativi, che tra l’altro erano anche superflui perché tutti sanno che non è normale che l’acqua abbia odore e colore, per circa due anni è stato detto ai cittadini di evitare di farsi condizionare da allarmi infondati, eppure 87 persone sono state infettate e 10 sono morte.
Una parte dell’America è profondamente colpita da un declino industriale cominciato molto prima del collasso di Lehman Brothers nel 2008. Nel complesso gli Stati Uniti hanno retto l’urto delle delocalizzazioni verso la Cina ed altri paesi asiatici perché la vecchia base industriale è stata sostituita da una nuova fatta di aziende che negli USA non producono ma conservano le attività ad elevato valore aggiunto; oggetti simbolo di questa nuova base industriale sono gli i-phone e i-pad della Apple che sono prodotti in fabbriche asiatiche, ma sono progettati e commercializzati in uffici americani. Nel libro La nuova geografia del lavoro Enrico Moretti, docente di economia a Berkeley, racconta che il declino dei tradizionali settori industriali e l’emergere di nuove produzioni ad alto contenuto tecnologico o comunque ad elevato valore aggiunto ha modificato la geografia economica degli Stati Uniti. Da tali dinamiche hanno tratto vantaggio l’area di Seattle, dove ha sede la Microsoft, la Sylicon Valley in California e New York, città del distretto finanziario. Parallelamente altre aree urbane hanno affrontato un inesorabile declino. Alle “Valley” dell’innovazione tecnologica si contrappongono le “Valley” della ruggine.
Dice Moretti che dagli anni ottanta negli Stati Uniti si è verificata una “grande divergenza” sia in termini di disparità di reddito e di patrimonio (quella di cui si interessano Piketty, Atkinson e Stiglitz) ma anche in termini geografici. Se in Europa infiamma il dibattito sulle divergenze tra la Germania e le sue sorelle minori da un lato ed i paesi mediterranei dall’altro, negli USA la divergenza si misura tra le contee, e può benissimo accadere che in tre ore d’automobile vi siano un cimitero industriale ed un distretto tecnologico. Le disparità geografiche negli Stati Uniti forse sono più graffianti che in Europa, tuttavia sono meno visibili e meno al centro del dibattito politico sia perché si registrano tra contee e non tra Stati, sia perché si registrano in un contesto che a differenza dell’Unione Europea ha concluso la sua fase costituente.
Fonti americane stimano un’aspettativa di vita di 78-79 anni negli Stati Uniti, molti paesi europei fanno meglio. Scrive l’economista Tony Atkinson che non si capisce perché l’aspettativa di vita non sia contemplata tra gli indicatori di performance dei paesi. Tra le altre cose l’aspettativa di vita degli Stati Uniti è il risultato di una media tra contee che si attestano sui livelli dei paesi europei, e contee con un’aspettativa di 67 o 68 anni, più bassa anche rispetto a quella di diversi paesi non annoverati tra le nazioni sviluppate. Lascia assai perplesso il fatto che molti economisti liberisti tra cui il già citato Moretti affermino che tali divergenze siano frutto di abitudini alimentari, del fumo e dell’alcool e non di un sistema sanitario privato, che pur corretto con costosissimi programmi pubblici, non riesce a garantire una sanità di qualità per tutti o di comportamenti scellerati come quelli di Flint. Stiglitz afferma che ormai l’aspettativa di vita è in calo anche tra i bianchi poveri.
Altra storia che fa riflettere è quella di Ferguson, piccolo centro del Missouri che rispetto agli anni settanta ha perso un terzo dei suoi abitanti. Questa cittadina di 20.000 abitanti è divenuta luogo simbolo mondiale delle disparità, della segregazione e della protesta sociale, dopo che Michael Brown un giovane afroamericano è stato ucciso da un poliziotto. A Ferguson, a maggioranza afroamericana, il sindaco e quasi tutti i poliziotti sono bianchi. Il reddito medio è bassissimo, molti sono costretti a vivere con 700 dollari al mese e qualcuno finisce in galera per una multa non pagata, salvo poi scoprire, quando lo scarcerano, che la multa è lievitata per interessi e sanzioni nel periodo in cui è stato in prigione. Ferguson come Flint è l’America che è rimasta indietro. Tra le altre cose il fatto che negli Stati Uniti si parli una sola lingua e “la grande divergenza” si manifesti tra contee e non tra Stati implica che la povertà si scarica sull’immigrazione più che in Europa. Questo è un bene per chi può migrare, ma un problema per chi non può farlo e per le tante “valli desolate”.
Vicende come le ricorrenti crisi fiscali della California, paradossalmente uno degli Stati più ricchi degli USA e il default di diverse città e di Puerto Rico fanno ritenere che di fatto anche negli Stati Uniti vi siano situazioni analoghe a quella greca.
Infine ci ricorda Raghuram Rajan, economista indiano che per molti anni ha lavorato negli USA, che le crisi sempre più ricorrenti hanno comportato almeno negli ultimi quindici anni l’allungamento del periodo di tempo che serve agli Stati Uniti dopo uno shock per ritornare ai livelli di occupazione pre-crisi. Ci ricordano invece Stglitz e altri economisti che le continue crisi hanno fortemente ridotto le prospettive pensionistiche di molti americani, paradossalmente gli americani nati negli anni cinquanta e sessanta che sembravano essere la generazione che più di tutte ha avuto dalla vita rischiano una vecchiaia di povertà, inoltre dal 2007 è molto cresciuto l’indebitamento delle famiglie meno abbienti, che spesso per soddisfare i più essenziali bisogni si indebitano a tassi spropositati per esempio con il credito al consumo o fuori dai circuiti tradizionali.
La conclusione è che è vero che gli Stati Uniti sono ripartiti più velocemente dell’Europa, ma probabilmente la crisi ha morso anche dall’altra parte dell’Atlantico, i suoi costi sono solo stati distribuiti in modo diverso che in Europa. Ciò ha per esempio comportato che negli Stati Uniti vi siano più PIL e meno aspettativa di vita che in Europa. Rimane l’amarezza perché un’area euro con un governo e con un piano di investimento in ricerca e sviluppo che faccia nascere qualche colosso dell’innovazione potrebbe essere un esempio per molte nazioni e non rischierebbe di essere il fanalino di coda in un mondo che va velocissimo.
Salvatore Sinagra
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!