La festa della Repubblica e la prova del Covid
Il 2 giugno del 1946 si svolgeva il referendum per la scelta della forma di stato dopo il disastro della seconda guerra mondiale. Il corpo elettorale, con suffragio universale cioè senza nessuna limitazione di sesso (votarono per la prima volta le donne) e di reddito, scelse la Repubblica. Contemporaneamente fu eletta l’Assemblea Costituente con il compito di redigere la nuova Costituzione. Tutto ciò avveniva con il mondo semidistrutto da una guerra devastante scatenata dalla Germania nazista, dall’Italia fascista e dal Giappone nazionalista. Il mondo come lo conosciamo oggi nasce da quella catastrofe che in 5 anni di conflitto causò 70 milioni di morti e distruzioni immense. L’Europa in particolare fu l’epicentro del conflitto mondiale. Qui nacquero e si affermarono le ideologie intorno alle quali furono costruite le dittature che vollero la guerra. Quando si parla di nostalgici del nazismo e del fascismo dobbiamo sempre pensare che i loro predecessori furono i responsabili del conflitto e che furono sconfitti con le armi in un massacro reciproco inenarrabile. I regimi fondati sulla libertà e sulla democrazia farebbero bene a non consentire la perdita della memoria e a combattere con ogni mezzo la rinascita di movimenti nazisti e fascisti.
Viviamo tempi difficili, i peggiori dalla fine della Guerra. La crisi mondiale scatenata dal Covid 19 non ha eguali nella storia recente. Celebrare la ricorrenza del 2 giugno oggi significa innanzitutto ricordare che di fronte alle catastrofi c’è un solido punto di riferimento nella Costituzione, nei suoi valori e nelle istituzioni che hanno il compito di tradurli in politiche di governo della società. Un punto di riferimento che è diventato molto più ampio e forte con la costruzione dell’Unione Europea. Là dove c’erano paesi nemici ora ci sono partner di una unione che punta all’integrazione politica oltre che economica.
Questo è il contesto nel quale viviamo e che garantisce la nostra pace e il nostro benessere. Gli italiani devono capire che senza questo contesto tutto diventerebbe più incerto e più pericoloso. Basti pensare a cosa sarebbe accaduto se fossimo stati soli ad affrontare la tempesta della crisi. Soltanto essere parte di una unione di stati di livello continentale ed avere insieme ad altri 18 paesi una moneta comune ci ha evitato una rovina irreparabile. Essere uniti nel riconoscere questa realtà non vuol dire perdere di vista le differenze tra le varie opzioni politico-culturali e, meno che mai, tra le scelte concrete con le quali si deve rispondere ai problemi degli italiani e di una società evoluta e complessa. Per questo solo una parte politica sciagurata che ha perso di vista il senso dell’unità nazionale può pensare di usare la Festa della Repubblica per aizzare la contestazione di piazza contro la maggioranza di governo e le sue scelte. In verità non avrebbe senso nemmeno farlo il 3 giugno perché c’è bisogno di contributi costruttivi e non di rabbia ottusa, ma, evidentemente, le destre proprio a questo mirano. È dall’inizio della pandemia che provano a destabilizzare il governo per abbatterlo ed andare a nuove elezioni che sperano di vincere. Per fare cosa? Forse quello che stanno proclamando da anni e che si riassume in un’unica parola: nazionalismo.
È una colpa questa oppure è un’opzione strategica con la stessa dignità di quella che da decenni mette al centro l’unione con gli altri stati europei? Se si astrae dalla nostra storia e dal contesto internazionale la si può descrivere come un’idea fra le altre. Il nazionalismo, però, ha sempre retto le sorti degli stati e ha sempre portato allo scontro tra i popoli. Non c’è scampo: se pensi di trincerarti nella tua fortezza nazionale e di batterti per fare soltanto il tuo interesse devi sapere che tutti gli altri faranno lo stesso e che ci sarà sempre qualcuno disposto a battersi con ogni mezzo per stabilire una supremazia. Lo sappiamo e lo abbiamo sperimentato più volte nella storia tormentata dell’Italia.
I nazionalisti non lo possono dire, ma il loro destino è condurre i popoli alla guerra. È questo che vogliamo?
Festeggiare la nascita della Repubblica e della Costituzione che descrive la sua identità significa capire che il patto sul quale si regge la vita degli italiani ha bisogno di essere compreso e rinnovato di continuo. Non può essere dato per scontato una volta per tutte. E significa capire che abbiamo enormi problemi da affrontare e che solo in questa cornice possiamo farlo.
L’Italia è arrivata all’appuntamento con la pandemia gravemente indebolita non da uno specifico governo, ma da come le classi dirigenti hanno organizzato le strutture statali, da come sono state decise ed attuate le politiche pubbliche per decenni e dalla cultura civile che è stata promossa tra gli italiani. In questa occasione abbiamo pagato a caro prezzo tutti i limiti e tutti i ritardi accumulati nei periodi precedenti della storia nazionale. O lo capiamo o il futuro sarà peggiore del presente.
Ne possiamo uscire? Sì, ma bisogna recuperare lo spirito della nascita della Repubblica e dell’adozione della Costituzione. Non serve appellarsi ad una generica e retorica unità, ma riconoscere che occorre compiere un grande passo avanti di civiltà. Non saranno i giochi politici a dare un futuro migliore alla nostra Repubblica. Se gli italiani tengono a loro stessi devono diffidare come non mai dai proclami vuoti e dalle menzogne. È l’ora della verità, della serietà e della responsabilità
Claudio Lombardi
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!