La geopolitica dell’intelligenza artificiale
I progressi dell’Intelligenza Artificiale sono stati portati recentemente all’attenzione da stampa e informazione. Sino a qualche tempo fa i principali successi alla ribalta della scena riguardavano sistemi capaci di giocare e sconfiggere l’uomo in giochi come gli scacchi, il ben più complesso Go, e da ultimo un sistema in grado di affrontare giochi in generale, compresi i videogiochi, senza essere preventivamente configurato sulle regole del gioco.
Negli ultimi mesi le capacità di interazione in linguaggio naturale mostrate da Chat-GP3 hanno colpito il grande pubblico per l’abilità a scrivere testi con precisione di linguaggio ed ampiezza di informazioni tali da rivaleggiare tranquillamente con la maggior parte delle tesine liceali o universitarie.
Erano però già stati raggiunti dai sistemi di IA traguardi molto rilevanti dal punto scientifico anche se meno noti al grande pubblico come l’identificazione della struttura di oltre 200 milioni di proteine.
È ormai chiaro come padroneggiare questa tecnologia significa avere un vantaggio strategico sulla scena internazionale. Un recente numero di Limes analizza come i principali attori della scena politica internazionale sono posizionati al riguardo.
Quali sono i punti chiave necessari ad uno stato per primeggiare nello sviluppo di soluzioni di IA? Se sono fondamentali gli algoritmi e la potenza di calcolo necessaria alla loro esecuzione è altrettanto importante la disponibilità di informazioni necessarie per l’addestramento dei sistemi di IA.
Tutto ciò richiede di avere:
- competenze in scienza dell’informazione, matematica, e centri di eccellenza con capacità di attirare talenti con elevato potenziale;
- capacità di proteggere il know-how gestendo il compromesso tra approccio open source, tipico della ricerca che punta a pubblicare i risultati per emergere, e protezione intellettuale necessaria per lo sviluppo dell’industria e per evitare lo spionaggio da parte di stati esteri;
- disponibilità di infrastrutture di calcolo e comunicazione;
- governo della filiera di produzione dei chip che è ormai articolato su scala trans-nazionale con la difficoltà per uno stato di possedere tutti gli elementi; sono necessari infatti società di progettazione, fabbriche per la produzione (o foundery), sistemi per la litografia a supporto della produzione;
- accesso a enormi quantità di dati relativi ai processi che si vogliono affrontare con l’IA.
Come si collocano allora Stati Uniti, Cina, Russia, Italia, India, Taiwan, Giappone rispetto a questi punti?
- La Russia non dispone al momento di competenze e sistemi in grado di rivaleggiare con l’occidente e per risalire la china ha necessità dell’aiuto cinese;
- La Cina ha già raggiunto risultati significativi con sistemi per il controllo della popolazione attraverso il riconoscimento facciale; il sistema realizzato da Sensetime, anche grazie al know-how acquisito negli USA, è utilizzato anche a scopi repressivi ad es. contro gli Uiguri; le sanzioni USA sulle tecnologie sono arrivate tardi e con scarso effetto;
- Taiwan, grazie ad una attività trentennale, ha un ruolo fondamentale nell’industria dei chip attraverso la società TSMC e svolge un ruolo di triangolazione con USA e Cina: Taiwan ha fabbriche in Cina che cerca di utilizzare solo per prodotti maturi riservando le produzioni più avanzate al proprio territorio; tuttavia il suo ruolo principale è quello di foundery e non opera quindi in autonomia per la produzione dei chip più avanzati progettati negli USA;
- Gli Stati Uniti hanno investito 280 miliardi di dollari a livello governativo, ai quali si sono aggiunti 80 miliardi di investimenti privati, per la produzione di chip di ultima generazione con l’obiettivo di mantenere ed accrescere il vantaggio che hanno rispetto alla Cina; al momento, grazie all’utilizzo di chip originariamente pensati per la grafica, la progettazione è ancora un primato USA;
- L’Italia, pur avendo perso molte opportunità nei decenni passati nell’informatica e telecomunicazioni, ha ancora delle possibilità per inserirsi nella catena di produzione dei chip e delle competenze di integrazione da utilizzare per problemi come il dissesto idrogeologico o il monitoraggio di infrastrutture critiche; paradossalmente la fuga dei cervelli potrebbe tornare utile per utilizzare dei collegamenti con società estere dove alcuni italiani ricoprono ruoli importanti.
È in questo contesto che si ha la sfida primaria tra USA e Cina. Italia ed Europa possono e devono contribuire posizionandosi dal lato della loro partnership strategica con gli USA e salvaguardando le loro eccellenze (come la olandese ASML), senza rinunciare ad una visione del mondo non basata esclusivamente sul dominio del mercato. Le sfide sono molteplici.
Per diminuire la dipendenza dalla Cina, occorre diversificare le aree di produzione e mantenere saldo il primato delle competenze e della progettazione puntando su investimenti industriali e nell’istruzione, consapevoli che i numeri e la determinazione giocano contro. Su questi punti il ruolo di Giappone, Corea del Sud e Taiwan sono fondamentali.
Occorre inoltre stabilire e governare l’etica dell’IA. In particolare indirizzare le applicazioni secondo gli obiettivi dello sviluppo sostenibile come declinati dall’ONU piuttosto che per applicazioni belliche o di controllo. Vanno in questa direzione la Normativa sull’intelligenza artificiale promossa dal Consiglio d’Europa che chiede di promuovere un’IA sicura che rispetti i diritti fondamentali e la recente iniziativa del Vaticano per uno sviluppo etico dell’intelligenza artificiale che ha coinvolto Microsoft ed IBM.
Siamo in presenza di un ulteriore punto di svolta nelle capacità dell’umanità di controllo della natura, grazie alle capacità di trattamento dell’informazione che è il vero oro nero della nostra epoca.
E se si dibatte su cosa potrà mai fare l’IA soprattutto rispetto alla complessità del cervello umano, bisogna ricordare che l’uomo ha imparato a superare la forza fisica ed a volare, ma utilizzando sistemi che in natura non sono utilizzati come la ruota o le eliche. Quindi l’IA può benissimo progredire nelle sue capacità anche senza emulare il nostro comportamento: può fare meglio di noi ma non necessariamente come noi.
Come agli albori dell’era atomica siamo nuovamente di fronte ad alcune scelte.
Questa innovazione può portare ad applicazioni per la guerra, la dominazione dei popoli, può comportare lo stravolgimento del mercato del lavoro, l’incremento delle diseguaglianze, la discriminazione o può contribuire a progressi senza precedenti nella medicina, nella transizione energetica, nell’utilizzo migliore delle risorse della terra. Come orientare tutto ciò?
Ed inoltre lo sviluppo della conoscenza deve procedere autonomamente in un mondo dominato da potenze economiche o da stati autoritari, o essere affiancato da istanze democratiche per un governo delle sue conseguenze?
Claudio Gasbarrini
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