La gioventù e le speranze deluse (di Aldo Cerulli)
Con la scusa della crisi mondiale, che si è ripercossa anche sulla nostra Nazione, assistiamo ogni giorno a tagli indiscriminati per quanto riguarda tutto, ma notiamo, con rammarico che vengono penalizzate sempre le fasce più deboli.
Non serve riempirsi la bocca con parole che inneggiano alla meritocrazia dette da chi, nella scuola è stato mediocre ma, nella vita ha avuto dei forti sostegni politici. Sostegni che l’hanno fatto andare più avanti per ritrovarsi, poco più che ventenne a ricoprire ruoli importanti quando, sino ad ieri giocava con la cerbottana disturbando i passerotti nei parchi. La meritocrazia va bene certo, ma per tutti! Inutile criticare i figli dei fiori frutto degli anni caldi del ’68: se si girano intorno si accorgono di essere loro i figli dei figli dei fiori.
Io penso che non si possano criticare quegli anni; io li ho vissuti e tante lotte sono state veramente giuste.
Ricordo benissimo come venivano trattate le donne nei tribunali quando si permettevano di denunciare uno stupro/violenza, venivano penalizzate due volte, prima vittime degli aguzzini e poi in tribunale processate loro e non i violentatori.
In quegli anni si sono fatte delle lotte gigantesche. Io non rinnego niente: le lotte fatte da altri/e allora, sono venute a nostro vantaggio adesso: perchè dire che era tutto sbagliato? Io non lo dirò mai.
Si dice che tutto cambia, tutto si evolve e noi ci dobbiamo adeguare, i nostri figli si devono adeguare a questa società.
Quale società? Quella che pensa in modo sconsiderato a fare politica in Italia come si fa oggi? No grazie!
Quella che non riesce ad inserire i nostri figli pluri-laureati, sempre a rincorrere master e stage (serissimi e veri, tanto per precisare, e pagati di tasca nostra!), i nostri figli eterni precari, in servizi per pochi soldi, però anche se pochi puliti.
Ma che pensano i giovani di tutto questo?
Essi dicono, ormai stanchi, ma sicuramente ancora agguerriti:
siamo giovani, siamo studenti e studentesse, siamo lavoratori in nero, siamo precari e idonei non beneficiari della borsa di studio. Siamo 15enni, siamo 25enni. Di noi il 20% ha abbandonato la scuola, uno su tre è disoccupato. Uno su due l’anno prossimo non avrà più la borsa di studio o non l’avrà per l’ennesima volta. Siamo stagisti senza retribuzione, studenti sfruttati da stage e percorsi di apprendistato. Siamo gli studenti che da mesi scendono in piazza, si mobilitano, occupano scuole ed università, non semplicemente per bloccare ma per liberare.
Siamo cittadini di un Paese che non ci guarda, che ci considera invisibili, che ci vede come numeri e percentuali, che ci etichetta come “bamboccioni” e facinorosi, come se le dinamiche che lo attraversano non ci riguardino, non riguardino ragazze e ragazzi che vivono i risultati delle scelte di ieri e che vivranno sulla propria pelle quelli delle scelte di oggi.
Una società costruita dai nostri padri e dai nostri nonni, che da partigiani hanno preteso un domani migliore, che si basasse sulla previdenza sociale, sul tempo indeterminato, sul diritto allo studio, conquiste che hanno reso l’Italia un Paese civile, conquiste che hanno costruito il diritto ad immaginare e costruire un futuro, diritto di cui oggi rischiamo di perdere la memoria.
Stanno tagliando sulle nostre borse di studio: il fondo statale per le borse di studio nell’ultima finanziaria viene ridotto per il 2012 del 90% e del 95% per il 2013. I 100 milioni in più per il 2011 ottenuti a seguito di proteste non bastano a garantire un diritto sancito dalla Costituzione, diritto che ogni anno viene calpestato. Infatti è vergognoso che nel nostro paese esistano i così detti idonei non beneficiari, studenti che avrebbero diritto alla borsa di studio ma non la ricevono per la mancanza di fondi, emblema dell’impegno ipocrita dei nostri governanti sul futuro dei giovani. Con i tagli progressivi il numero di studenti che sta perdendo la possibilità di studiare aumenta di anno in anno, la maggior parte di questi è iscritta nelle Università del Mezzogiorno. I tagli ai fondi per gli atenei statali non stanno riducendo gli sprechi, ma solo riducendo i corsi di laurea, i progetti di ricerca, le borse per i dottorandi, i servizi per gli studenti, stanno comportando l’innalzamento delle rette universitarie. Le residenze universitarie coprono appena l’1,5% della popolazione studentesca, buona parte di queste versano in condizioni fatiscenti e rischiano la chiusura per mancano i fondi per ristrutturarle.
I tagli alla scuola pubblica non comportano merito rigore e qualità, ma soltanto scuole chiuse, vuote, prive di una funzione ed insicure. Meno ore, meno laboratori, scuole chiuse al pomeriggio, didattica e programmi fermi a cinquant’anni fa, nessuna sperimentazione, stage e percorsi scuola lavoro inutili e privi di tutele, insegnanti demotivati, licenziati, non aggiornati, edifici fatiscenti; questa è la scuola che la Gelmini ha deciso di consegnare alle nuove generazioni, questa è la realtà che ogni giorno dobbiamo subire.
Siamo una generazione abbandonata dal Paese, che vede chiudere le porte dell’istruzione pubblica e che quando, con i difficili sacrifici, riesce a concludere gli studi si ritrova in una giungla di stage non retribuiti, master dai costi impossibili e il mondo del lavoro precario che non considera le conoscenze e competenze acquisite, che pensa solo a sfruttarti quando ne ha bisogno e ad abbandonarti quando non sei più utile.
Lo scontro generazionale oggi non è tra studenti con ideologie radicali e adulti con posizioni moderate, ma tra giovani senza alcuna prospettiva e padri che hanno avuto ciò che i figli non immaginano nemmeno. Viviamo un arretramento sul terreno dei nostri diritti che ci porta ad essere soli in una società che non ci vuole.
Vogliamo che quello scontro generazionale si trasformi in solidarietà, crediamo che la battaglia che stiamo facendo per riconquistare un futuro, partendo dal diritto allo studio, non ci veda soli perché non riguarda soltanto la nostra generazione. Crediamo che il futuro dei giovani e del Paese riguardi tutti, padri e figli, giovani e anziani, crediamo che le rivendicazioni dei giovani e studenti debbano avere anche la voce di chi non è più giovane, di chi non è precario, di chi una pensione ce l’ha o di chi ha avuto gli strumenti per studiare, laurearsi e vedere riconoscere le proprie conoscenze nel mondo del lavoro.
Crediamo in una battaglia che non sia soltanto di vana solidarietà, ma di condivisione e impegno comune, per manifestare il disagio di chi in questo paese non riesce a vivere, perché è studente proveniente da una famiglia povera, perché è un precario, perché è un ricercatore indisponibile, perché è un operaio che non vuole abbassare la testa ai ricatti, perché è un operaio in cassa integrazione o licenziato perché l’azienda delocalizza; ma anche perché è un artista, un ballerino, un musicista, un attore che non può più svolgere il proprio lavoro perché non ci sono soldi o un giornalista, un magistrato, che non può raccontare la realtà così come la interpreta e vuole denunciarla.
A fronte di questa accorata denuncia noi possiamo solo dire: non siamo stati capaci di difendere il futuro dei nostri figli. Abbiamo creduto che bastasse aver conquistato certi diritti per avere la certezza che sarebbero durati all’infinito. Complice un diffuso benessere, amplificato in principio dal «riflusso» degli anni Ottanta, abbiamo un po’ dormito sugli allori.
Responsabilità ben maggiori hanno i governi degli ultimi vent’anni senza distinzione, la classe dirigente, le parti sociali, spesso l’inadeguatezza strutturale e formativa della scuola e dell’università. Mi sembra che nessuno, tranne noi e i nostri figli, voglia la fine di questo scandalo. Sono troppi gli altri interessi in gioco. Con che cuore e testa possiamo accettare che i nostri giovani (e smettiamola con i «bamboccioni»), non abbiano futuro? Nonostante le lauree e i master all’estero, la loro vita sembra segnata irrimediabilmente dalla precarietà. Altro che meritocrazia. E non vale il discorso che sono pigri e viziati. I fannulloni non sono una scoperta del ministro Brunetta, sono sempre esistiti. Per fortuna sono eccezioni. Il lavoro è vita. I nostri figli stanno morendo a 30 anni.
La loro storia è spesso lineare, liceo, laurea nei tempi e con buoni risultati con un semestre di frequenza presso università europee e non solo ( Il Presidente della Repubblica Ciampi ci ha spesso e giustamente raccomandato di crescere giovani cittadini europei, buoni conoscitori delle lingua e dei popoli dell’Unione ) , master anche biennali organizzati da Università e regione, impegno sociale in associazioni di volontariato e, a volte, nei partiti. Poi, raramente, anche un lavoro interessante e pertinente, ma precario della durata di pochi mesi non rinnovati.
E infine, per moltissimi di loro, tanti mesi trascorsi ad inviare centinaia di curricula a sostenere colloqui inconcludenti e a maturare sfiducia, disistima, depressione. incazzatura ma soprattutto perdita di speranza in se stessi e nel mondo.
Queste persone non avranno rappresentanza o riconoscimento né del sindacato né dei partiti.
Il loro male di vivere si consuma nella sfera privata, in conflitti familiari, nel dramma individuale di chi pensa di essere diventato stupido incapace demente. Le forme tradizionali della rappresentanza sociale non riconoscono questi disagi anche perché i giovani inoccupati sono dispersi nello spazio e non hanno la forza di organizzarsi, sconfitti come sono dalla propria disistima.
È una società che butta alle ortiche gli investimenti fatti sui propri figli.
È una società che ha scelto di non crescere anche demograficamente.
È una società che mortifica il proprio futuro. È un modello sociale che va cambiato. Vogliamo allora riappropriarci della gioia di scommettere sul cambiamento.
Aiutare a dare voce a chi, momentaneamente, non riesce a parlare e tanto meno a gridare.
Aldo Cerulli segretario Cittadinanzattiva Abruzzo
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