La governance europea che favorisce il populismo
Un articolo di Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore tocca il tema cruciale della crescita del populismo in Europa. “Perché i partiti anti-europeisti (cioè contrari all’integrazione politica del continente) sono in crescita ovunque, persino in Germania?” si domanda Fabbrini. La risposta è che non si tratta solo delle politiche che persegue la Ue, ma anche del modello di governance che si è creato nella zona euro. Occorre quindi cambiare le politiche, ma anche il modo con il quale vengono assunte le decisioni in Europa. Seguiamo il ragionamento con una sintesi dell’articolo.
La crisi dei partiti ha toccato tutti i paesi europei e la tradizionale competizione fra destra e sinistra non è stata in grado di rispondere alle insoddisfazioni degli elettori. Così sono spuntate le formazioni anti-partito tutte orientate su posizioni anti-integrazione europea. È saltato lo schema che nel dopoguerra per decenni aveva ricondotto all’interno della competizione tra destra e sinistra le spinte che emergevano dalla società. Le infrastrutture politiche dello sviluppo economico post-bellico sono nate e hanno vissuto nell’ambito di questa competizione. Ciò che è accaduto a partire dalla crisi finanziaria del 2008 è stata una convergenza programmatica tra destra e sinistra che ha avuto la sua massima espressione nell’ambito delle politiche europee.
Da qui sono nati i governi di grande coalizione in Germania (2005-2009 e 2013-2017) che hanno di fatto cancellato la distinzione tra le posizioni cristiano-democratiche e quelle socialdemocratiche. Qualcosa di simile è accaduto in Francia con la sostanziale continuità programmatica delle presidenze Sarkozy e Hollande. (Anche in Italia abbiamo avuto un governo di emergenza nel quale si sono annullate le differenze tra le diverse componenti politiche).
Il problema è che così “le nuove domande generate dal cambiamento sociale hanno finito per trovare nuovi canali per trasmettersi alla politica. Sono stati i movimenti populisti a rappresentare quelle domande, indirizzandole non solo verso il rifiuto dei partiti tradizionali (di destra e di sinistra) ma soprattutto verso il sistema euro-nazionale di cui quei partiti sono stati l’infrastruttura”. Si è così creata una nuova divisione non più tra destra e sinistra, ma tra sì e no al proseguimento dell’ integrazione europea.
Questa, tradottasi nell’integrazione monetaria e specialmente a partire dalla crisi del 2008, “ha modificato radicalmente la struttura della competizione politica all’interno dei paesi dell’Eurozona”. Tuttavia, la convergenza tra la destra e la sinistra non deriva dall’istinto di conservazione di élite politiche interessate a conservare i loro privilegi, ma, piuttosto, dal modello di governance economica che si è venuto istituzionalizzando nel corso della crisi. “In particolare, è il risultato dei vincoli regolamentari che si sono imposti sulle scelte nazionali, sull’onda della necessità di rispondere alla minaccia esistenziale del fallimento dell’euro”.
Il guaio è stato che quei vincoli “hanno svuotato di significato la tradizionale competizione tra la destra e la sinistra a livello nazionale, senza promuovere contemporaneamente una altrettanto efficace competizione tra l’una e l’altra a livello sovranazionale”. Cioè si è trasferita la decisione sulle più importanti politiche economiche e finanziarie nazionali a Bruxelles determinando lo svuotamento di significato della competizione politica nazionale.
Il problema è che quelle “decisioni vengono prese in consigli intergovernativi costituiti di leader nazionali che possono trovare un accordo solamente facendo convergere le loro rispettive posizioni politiche. Se si esce da quegli accordi, si espone il proprio paese alla reazione dei mercati e all’isolamento rispetto agli altri partner europei. Se si rimane nel perimetro di quegli accordi, si alimenta la reazione anti-europeista dei partiti populisti all’interno del proprio paese”.
Come uscirne? La soluzione per Fabbrini non è solo cambiare le scelte politiche, ma cambiare il modello di integrazione, “separando chiaramente le politiche che vanno gestite insieme a Bruxelles e le politiche che debbono essere gestite individualmente dai singoli paesi”. Seguendo il suo ragionamento e tentando di completarlo, tuttavia, anche questo cambiamento non sarà sufficiente se non emergeranno indirizzi politici alternativi su scala europea. Ovvero se la principali correnti politiche europee non elaboreranno programmi differenziati coerenti con i loro presupposti culturali. Avere come unico orizzonte i pur necessari parametri finanziari porta alla morte della politica che, però, non muore veramente, ma si trasferisce su movimenti anti-sistema e anti-Europa che hanno come unico progetto la separazione e la chiusura nei confini nazionali. Una ricetta che l’Europa ha già pagato con due guerre mondiali
Claudio Lombardi
Trackbacks & Pingbacks
[…] Approfondisci su Civicolab.it […]
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!