La grande crisi: tante diagnosi, poche ricette (di Salvatore Sinagra)

Nel 2008, a seguito del credit crunch il mondo intero o, almeno, il mondo progredito, è caduto nella più grande crisi che sia registrata dopo il ’29. Particolarmente gravi sono state le conseguenze nei paesi mediterranei dell’Unione Europea, Italia compresa, le cui economie erano già caratterizzate da squilibri di diversa tipologia e diversa intensità.

crisi2La crisi, nonostante le dichiarazioni rassicuranti di taluni politici (Berlusconi e Tremonti per primi) e nonostante il qualunquismo di molti, si è subito fatta sentire anche in Italia e ancor più dura è stata negli altri paesi mediterranei, Portogallo, Spagna, Grecia e Cipro. Paesi colpiti dalla crisi, ma non con gli stessi problemi di finanza pubblica ossia di debito dello stato e di deficit di bilancio.

A parte la Grecia, paese nella sostanza in default perché i debiti non sono stati pagati e si è dovuti ricorrere all’hair cut ossia al taglio di parte dei debiti, le situazioni di Italia, Portogallo e Spagna sono qualitativamente simili, e solo quantitativamente diverse. Il dato di fatto è che si tratta di paesi che si sono impegnati con la famigerata troika ad una veloce correzione dei conti che ha comportato drastici tagli alla spesa ed un contestuale aumento della pressione fiscale. Attenzione, però, a non ritenere che, senza i vincoli esterni, i paesi mediterranei oggi non avrebbero gran parte dei loro problemi. È un fatto che Spagna, Portogallo e Italia sono schiacciati tra l’incudine della necessità di rispondere ai mercati finanziari avvicinandosi velocemente al pareggio di bilancio e il martello dell’economia reale, che necessiterebbe di misure di stimolo quali investimenti pubblici ed il taglio delle tasse.

L’Italia ha, comunque una posizione particolare. Il suo problema è, come noto, l’elevatissimo debito pubblico, superiore al 100% del prodotto interno lordo dalla fine degli anni ottanta in poi e sempre in crescita con poche e brevi parentesi di diminuzione durante i governi di centro sinistra.

Di ricette abbozzate ne abbiamo lette e sentite molte, di soluzioni complete e credibili poche. Politici, economisti e giornalisti, solitamente grandi produttori di idee paiono brancolare nel buio.

E’ innegabile che non sia facile pensare a fermare la crescita del debito o, perlomeno, a mantenerlo stabile e impegnarsi sulla crescita dell’economia. In merito solo qualche riflessione.

Io partirei da due punti fermi: il primo è la necessità di azioni sinergiche tra l’Unione Europea ed i suoi membri; il secondo che paesi come l’Italia, che hanno accumulato enormi debiti nel corso degli anni, non possono pensare di ridurre i debiti solo a colpi di avanzi primari.cooperazione1

Quando immagino una gestione congiunta e coordinata della crisi da parte di Stati ed Unione non posso fare altro che pensare ad un’evoluzione federale dell’Unione ed ad una mutualizzazione di almeno una parte del debito pubblico. Penso ad almeno dieci o quindici paesi dell’area euro che convergono, nell’arco di alcuni anni, su un modello economico comune e che in politica estera parlano con una voce sola. Nel breve periodo sarebbe auspicabile che alla luce del fatto che gli Stati devono accollarsi l’austerità, l’Unione si faccia carico della crescita, e che con un budget accresciuto, finanzi investimenti per la crescita e un vero e proprio piano per l’inclusione sociale.

Chiaramente anche gli Stati devono fare la loro parte, cominciando con una vera e propria operazione di efficienza nel settore pubblico, ovvero impegnarsi per tagliare le spese senza pregiudicare la qualità dei servizi. L’esempio di tanti paesi del nord Europa dimostra che ciò è possibile.

Sarebbe, inoltre, opportuno che in paesi come l’Italia si pensasse ad interventi straordinari, miranti alla riduzione del debito pubblico, senza gravare (troppo) sul prodotto interno lordo e sulla crescita. Una patrimoniale una tantum, una riduzione delle riserve auree ed una vendita dei beni pubblici non necessari potrebbero essere le soluzioni per raggiungere questo obiettivo.

Infine pare ovvio che i paesi mediterranei, ma l’Italia in particolare, debbano condurre una lotta senza precedenti all’evasione fiscale ed alla corruzione; pare talmente ovvio che non si comprende bene per quale motivo si sia ancora così indietro su tali fronti. La lotta all’evasione fiscale ed alla corruzione non sono ricette per uscire dalla crisi, ma un prerequisito minimo ed essenziale per la tenuta di qualsiasi sistema economico e sociale.

Salvatore Sinagra

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