La Grecia e noi: crisi, manovre economiche e cittadini (di Claudio Lombardi)
Il caso della Grecia sta assumendo le sembianze di un microcosmo nel quale i problemi e i limiti del governo di una democrazia stretta fra classi dirigenti inadeguate, forze economiche esterne più forti dello Stato, vincoli europei puramente contabili e una moneta comune che si percepisce come una trappola, si manifestano sulla scala di un piccolo Paese, ma si scatenano con una drammaticità che non può lasciare indifferenti e che sconvolge la vita di milioni di persone.
Dire: “solidarietà con il popolo greco” non basta e significa ben poco. Dire: “l’Europa affama i greci per depredare il loro Paese e consegnarlo alle banche” ha un valore consolatorio perché ci solleva dal porci interrogativi ben più difficili da affrontare. Come al solito si rivela illusoria la ricerca di una spiegazione unica, semplice e facile a fenomeni complessi che chiamano in causa tante responsabilità.
Quali? Facciamo un elenco: i governi greci, i partiti greci, la classe dirigente greca, i cittadini greci, i governi europei, l’opinione pubblica europea, le burocrazie comunitarie e i relativi vertici, dalla Commissione alla Bce. Fra i governi europei spiccano Germania e Francia ai quali va il “merito” di non aver voluto un sistema di controlli sui bilanci quando a loro faceva comodo, ma di imporre adesso il cappio di misure rigidissime a un Paese dissanguato e, per di più, con la pretesa che l’adeguamento sia immediato.
Scrive Romano Prodi: “Per capire bene le cose bisogna andare indietro nel tempo quando, per non essere soggetti al controllo delle autorità europee, Francia e Germania hanno respinto le proposte della Commissione Europea volte a sottoporre a continuo monitoraggio i conti dei paesi dell’Euro. Il governo greco ha approfittato di questa mancanza di sorveglianza per mettere in atto una politica incontrollata ed incosciente di deficit di bilancio, persino falsificando i conti.”
Se questo monitoraggio ci fosse stato e se ci fosse stata la decisione di far convergere le politiche fiscali e di bilancio dei Paesi europei forse, le magagne sarebbero emerse prima e non ci sarebbe stato il disastro delle finanze greche.
Ora l’unica soluzione sensata è un piano di sostegno che diluisca in molti anni i debiti della Grecia e che faccia procedere i necessari tagli alla spesa pubblica di pari passo con gli investimenti necessari per il rilancio dell’economia. Altrimenti non rimane che il fallimento e quell’uscita dall’euro evocata dai molti che ritengono una grande vittoria non ripagare i debiti verso le banche e che di questo si contentano. Si illudono e non calcolano che tornare alla dracma con un’economia ridotta al collasso e totalmente dipendente dalle importazioni significherebbe la fame per il popolo greco, certa e immediata.
Detto questo, il caso della Grecia ci parla di uno dei problemi più controversi dei sistemi democratici: quello della sovranità popolare. Il popolo ne è depositario, ma la deve esercitare con le leggi che la regolano e che comportano, inevitabilmente, un sistema istituzionale rappresentativo, decisionale e di governo gestito dai partiti.
Il voto che mette in movimento tutto il sistema è un atto di grande responsabilità, ma quasi mai corrisponde ad una decisione dell’elettore basata sulla conoscenza delle informazioni indispensabili per giudicare e indirizzare. Il voto non basta, occorre molto di più.
Ciò che la Grecia ci dice è che i nodi venuti al pettine non nascono oggi e non sono il prodotto di un complotto per depredare un Paese, ma sono dentro i meccanismi, i comportamenti e la cultura civica che costituiscono il software che fa funzionare una società e lo Stato.
Già in tanti hanno sottolineato che in Grecia ha fallito la politica perché non ha saputo pensare e realizzare un progetto di sviluppo, ma solo vivere alla giornata all’insegna dell’accaparramento di poteri e risorse a spese del debito pubblico. In pratica si sono impegnati il futuro del Paese per non costruire nulla.
Che questo lo abbia fatto un sistema democratico suscita enormi preoccupazioni perché errori e deviazioni sono sempre possibili, ma arrivare al fallimento perché ci si è affidati a chi dispensa illusioni e imbrogli mette a nudo le fragilità della democrazia.
Si diceva che il voto non basta perché è fin troppo facile per le elite eludere i controlli, confondere le verifiche, corrompere i protagonisti in modo da far apparire le cose in maniera molto diversa da come sono realmente ed ottenere una delega che, in questo modo, è sempre una delega in bianco.
No, così non va, occorre cambiare sistema. La risposta giusta è la cittadinanza attiva cioè un sistema che includa la partecipazione come modalità ordinaria di funzionamento della democrazia. Partecipazione organizzata fondata sul doppio binomio del cittadino: poteri-responsabilità, diritti-doveri. Il tutto accompagnato dalla trasparenza e da penetranti poteri di controllo affidati ad organismi pubblici con la condivisione dei cittadini.
Se si guarda alle democrazie europee più stabili e avanzate si può constatare che la situazione dei servizi pubblici e la produttività dell’economia e il benessere che ne consegue si accompagnano sempre ad una superiore coscienza civile e ad una posizione del cittadino che ne fa il protagonista dell’ordinamento sociale e politico.
Quando si parla di partecipazione non bisogna pensare a città solcate in permanenza da cortei di manifestanti o a cittadini che affollano le sedi di partito. La partecipazione riguarda il rapporto dei cittadini con lo Stato e le sue istituzioni ed è questo il più essenziale rapporto politico cui occorre mirare.
Un sistema democratico aperto, trasparente, monitorato e partecipato è la migliore risposta al “dramma” delle democrazie contemporanee che non possono fare a meno dei cittadini, ma in cui forze potenti li vogliono solo elettori plaudenti e manipolabili simili ai sudditi del passato.
Claudio Lombardi
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