La guerra del grano di Putin e l’immigrazione
Una sintesi di un articolo di Vittorio Emanuele Parsi pubblicato sul Foglio del 20 luglio.
La realtà è dura da accettare: la guerra del grano di Putin non è finalizzata a dar da mangiare al suo popolo. Serve ad impedire che sfami altri popoli che da sempre ne hanno bisogno perché non ne producono abbastanza. Che a Putin del suo popolo interessi poco o nulla è dimostrato dall’aggressione dell’Ucraina che ha già causato tra le forze russe 200 mila vittime. Che ancor meno gli interessino gli altri popoli è dimostrato dalla guerra e dalla minaccia di affondare le navi che trasportano il grano ucraino. D’altra parte ne ha già distrutto decine di migliaia di tonnellate nei depositi di Odessa a dimostrazione del suo assoluto disprezzo per la vita degli altri.
Lo stesso disprezzo che si esprime bombardando le città, i palazzi, gli ospedali e i ristoranti, i centri residenziali e i teatri. “Figuriamoci che cosa gliene può allora importare delle decine di milioni di abitanti dell’Africa e dell’Asia che si ritroveranno a non poter acquistare semola e pane”.
Vuole punire l’Ucraina che lui e la cerchia dei fanatici nazionalisti russi non considerano nazione perché non ha voluto sottomettersi scegliendo invece “la via dello sviluppo e della democrazia mentre la sua Russia si incamminava per la tenebrosa strada della corruzione e del dispotismo”. Ha voluto anche dimostrare che l’ordine internazionale e le sue regole non valgono e che la Russia può farle saltare a suo piacimento. “Questo mediocre cavaliere dell’Apocalisse, che troppi cinici sprovveduti hanno voluto scambiare per statista, è pronto ad aggiungere la fame alla piaga della guerra, nella speranza di creare all’odiato Occidente più problemi di quanto esso possa e voglia gestire”.
Mentre gli occidentali provano a dare un governo al mondo lui afferma che l’unica strada è la violenza del più forte sul più debole. Per far capire il suo assoluto disprezzo di ogni regola trama con ogni mezzo per acuire il disagio dell’opinione pubblica per le inevitabili contraddizioni che si manifestano in ogni società democratica con una sistematica opera di disinformazione, di falsificazione, di corruzione con la quale acquisisce da anni “utili e prezzolati idioti” in Italia e in altri paesi occidentali. Le frottole propagandistiche del Cremlino vengono amplificate e a tutte si pone come base l’impossibilità di respingere l’aggressione perché “la Russia non potrà mai perdere la guerra”.
“Putin sa che affamando i poveri del cosiddetto sud globale rende ancora più grottesca la sua postura di vendicatore degli “ultimi della Terra”, ma è anche ben conscio che le masse diseredate di quei paesi sono intermediate dalle loro élite, dai loro governi corrotti e dai sodali di questi ultimi, che spesso sono espressione di strutture di potere non così dissimili da quelle della Russia, e che definirei “autocrazie cleptocratiche”. Non bastasse, persino tra i non molti paesi del sud che possono essere ascritti al novero dei regimi democratici, la Russia sa di poter contare su leadership nelle quali il risentimento anti occidentale e forme di populismo post o para peronista pagano più di qualunque altra moneta per coprire i limiti e le miserie dell’azione di governo”. Lo dimostrano le sconcertanti parole del presidente brasiliano Lula al vertice tra America latina, Caribe ed Europa. Come un disco rotto ripete la solita litania terzomondista, che “condanna la guerra senza condannare l’aggressore, e anzi addossando all’Occidente la responsabilità di farla continuare per il solo fatto di sostenere l’Ucraina”. Sono “le leadership di paesi che si sono fatte guerre da operetta per i più futili motivi, e dall’incerto cammino democratico” e non capiscono che in Ucraina si gioca una partita decisiva per la libertà di tutti.
D’altra parte anche in alcuni paesi democratici le autocrazie russa e cinese possono sfruttare vecchie solidarietà di matrice post gauchista e vetero-sindacale ancora legate ai miti di Mosca e di Pechino. Putin impugna contro l’Europa l’arma della guerra del grano che contribuisce ad acuire la destabilizzazione dell’Africa aumentando la pressione migratoria rispetto alla quale i paesi europei non hanno ancora trovato una risposta comune ed efficace. E’ questo che rende fragile qualunque accordo, compresi quelli conclusi con la Tunisia. Si tratta di accordi che “cercano di tamponare, e non di risolvere, la situazione: accordi che le democrazie devono poter stipulare anche con i governi non democratici, se questi sono gli unici interlocutori su piazza”. “Non siamo gli sceriffi del mondo, ma neppure le dame di carità globali. Non possiamo imporre agli altri le istituzioni democratiche, ma neppure possiamo farci carico dei problemi dell’umanità intera. La politica anche – e direi soprattutto – in democrazia è l’arte del possibile illuminata dal desiderabile e dallo sforzo continuo per raggiungere gli obiettivi – concreti e ideali – che cerchiamo di perseguire”.
“La sola via di uscita che può, in tempi non immediati, rendere compatibili le aspirazioni legittime tra le società di emigrazione (forzata) e quelle di immigrazione (altrettanto forzata) è rappresentata dallo sviluppo economico, politico e sociale delle prime accompagnato dal non imbarbarimento delle seconde. Creare sviluppo significa investire in quei territori secondo criteri di convenienza economica e di opportunità politica, non fare beneficenza”. Il “Piano Mattei” evocato da Giorgia Meloni non è un’idea campata in aria, ma a questo mira. L’Italia può promuoverlo, ma poi dovrà farsene carico l’Europa e le opinioni pubbliche dovranno capirne l’importanza. Già sono sotto pressione della propaganda putiniana e dei suoi megafoni italiani che predicano l’inutilità dell’aiuto all’Ucraina che sprecherebbe risorse da destinare a pensioni, sanità, istruzione e trasporti. Una spesa per realizzare un piano di aiuto ai paesi africani rischia di non essere compresa
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