La libertà di “fare tutti quello che ci pare”: fine di un regime fondato sull’illegalità (di Claudio Lombardi)
Ciò che colpisce nei primi commenti alla sentenza che ha sancito, per la prima volta con una condanna reale, i reati commessi da Silvio Berlusconi è lo spirito di fazione nemico dell’interesse collettivo e dello Stato.
È comprensibile che il condannato parli di avvertimento mafioso, di fine della democrazia sfoderando tutto il repertorio di accuse contro la magistratura a cui ci ha abituato nei 18 anni del suo dominio sulla scena politica. È comprensibile e previsto perché questa è stata sempre l’arma di Berlusconi: aggredire e urlare più forte per distogliere l’attenzione dalle questioni vere, dai fatti; dire cose anche assurde sapendo che il consenso di tanti aveva motivazioni irrazionali e del tutto contrarie al rispetto della legalità e dell’interesse collettivo. E questa è anche la lettura più ovvia delle reazioni dei suoi giornali e dei suoi seguaci. Si va dalla posizione più “morbida” di un Giuliano Ferrara che invoca una presunta vulnerabilità dell’imprenditore di successo “costretto”, per difendersi dai suoi nemici, a fondare un partito, all’aggressione scatenata dei giornalisti più inseriti nel sistema e nella cultura berlusconiani. Esemplari fra tante possono essere le parole di Barbara Saltamartini che dagli schermi TV se la prendeva ieri, a sentenza appena pronunciata, con “una parte della magistratura che ancora non si piega alla volontà popolare”.
Ecco qui rappresentata in una sola frase la rivoluzione culturale del berlusconismo fase estrema del sistema clientelare, tangentista e colluso con le mafie della Prima Repubblica.
La volontà popolare incarnata in un capo, registrata dai sondaggi, alimentata dal bombardamento delle TV commerciali, santificata dal voto della maggioranza nella prima fase e di una minoranza trasformata in maggioranza con una legge truffa nella seconda fase del quasi ventennio berlusconiano. La volontà popolare che si fa Stato al di sopra della Costituzione e delle leggi.
Che questa fosse l’essenza del sistema lo si è visto con le tante leggi ad personam e con l’uso a fini privati degli apparati e delle istituzioni dello Stato.
È stata creata una realtà virtuale che è ancora adesso l’anima di tutti i commenti: la magistratura compie atti politici tesi a colpire il politico Silvio Berlusconi e si serve di processi per reati inventati.
Che le cose non stessero così era evidente alla parte più attenta dell’opinione pubblica, ma anche alla parte che continuava a votare Forza Italia o Pdl. L’unica differenza è che questa seconda parte si identificava con le vicissitudini del Berlusconi malfattore perché ci vedeva riflessa la propria concezione dello Stato e della cosa pubblica: una mangiatoia a disposizione del più furbo e del più forte. Oppure una profonda insoddisfazione maturata in decenni di distacco e di estraneità alimentata da una classe politica oligarchica e clientelare.
Ci vorranno anni e anni per valutare e riparare i danni profondi del berlusconismo. L’enorme diffusione della corruzione, la penetrazione delle mafie nel cuore del tessuto economico, l’arrembaggio vergognoso alle risorse pubbliche (fra le cause principali della crisi della finanza pubblica), il culto dell’illegalità. Questi i connotati che identificano la situazione italiana di oggi e che affondano le radici nella svolta berlusconiana che issato sulle proprie bandiere comportamenti che prima venivano nascosti fra i segreti del potere. Ciò che era indicibile è diventata sfrontata rivendicazione di impunità perché il valore costitutivo del berlusconismo, la norma-madre della costituzione materiale che si è costruita è che il perseguimento dell’interesse privato non può trovare limiti in nessuna legalità, ma solo nella forza di altri interessi privati.
Con il berlusconismo siamo tornati indietro all’hobbesiano homo homini lupus. Secondo Thomas Hobbes nello stato di natura ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Una perenne conflittualità interna nel quale non esiste il torto o la ragione che solo la legge può distinguere, ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa.
Il berlusconismo ha applicato questo principio alla convivenza civile minando così la stabilità delle istituzioni e distorcendo la cultura civile e civica degli italiani con una rivoluzione dall’alto che ha mostrato loro, elevandolo ad esempio da imitare, il peggio che una classe dirigente possa rappresentare.
È condivisibile che Berlusconi abbia, come scrivono i magistrati, una naturale propensione a delinquere. Prima della sentenza ce ne eravamo accorti tutti. Ma i delinquenti ci sono sempre stati in questo mondo e Berlusconi è sicuramente uno fra i tanti. Ciò che non è tollerabile è che i suoi comportamenti delinquenziali siano diventati l’etica pubblica dell’Italia per lunghi anni e che lo Stato sia stato piegato senza adeguata resistenza delle classi dirigenti e degli italiani tutti ai suoi interessi e a quelli di migliaia di persone che hanno prosperato nella sua ombra prendendo d’assalto i poteri e le risorse pubblici. E, meno che mai è ammissibile, che milioni di italiani si siano lanciati nell’avventura del berlusconismo offrendo la loro complicità nella speranza di partecipare al gran banchetto del “facciamo tutti quello che ci pare”.
Claudio Lombardi
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