La manovra finanziaria del Governo: una vecchia storia (di Claudio Lombardi)
Ebbene sì siamo in emergenza. Ancora una volta; non è la prima e, rassegniamoci, non sarà l’ultima. Chiunque abbia raggiunto la maggiore età non può non ricordarsi di esserci cresciuto con le crisi e con le emergenze. La genesi delle emergenze è più o meno sempre la stessa: si parte da una crisi economica preferibilmente a livello internazionale per arrivare alla minaccia di uno sconvolgimento dei nostri equilibri che si rivelano fragili per la struttura della nostra economia, per il mancato sviluppo di una parte del Paese e per l’inefficienza dello Stato che sperpera ricchezze immense in spesa pubblica improduttiva (accompagnata da clientelismo, ruberie e corruzione nonché inadeguatezza degli apparati burocratici). Se la circostanza non fosse seria e anche drammatica ci sarebbe da ironizzare sulla sacralità di certe formule e di argomentazioni che vengono utilizzate dai politici per spiegare i contenuti dell’ennesima manovra. In primo luogo non c’è mai tempo e modo per prevenire le crisi che ci colgono sempre di sorpresa. Il che non permette di accorgersi che esiste il fenomeno (loro lo chiamano così con un termine che vorrebbe rendere “oggettivo” e quasi “naturale” ciò che corrisponde a precise scelte politiche) dell’evasione fiscale che, quindi, non può essere contrastato in tempi utili per fronteggiare la crisi. Di conseguenza, poiché siamo in emergenza, bisogna chiedere sacrifici a quelli che non si possono nascondere al fisco oppure tagliare servizi di cui i ricchi non hanno bisogno. Ci sono vari ritornelli che circolano insistentemente: uno è quello dei tagli e l’altro è quello delle riforme. Dopo decenni di manovre e di finanziarie e dopo anni di gestione che ha pure aumentato la spesa corrente si scopre che bisogna assolutamente tagliare la spesa improduttiva che, evidentemente, è come i capelli o i peli, ne tagli un po’ e quelli si riformano. È curioso assistere alla serietà con la quale si annuncia che occorre tagliare le spese inutili senza che nessuno mai ci spieghi com’è possibile che non sia già stato fatto in una delle manovre del passato. E poi i problemi ci sono perché non si sono fatte le riforme (quali? Boh! Ognuno ha le sue preferite, importante è dire che bisogna farle). Il menu delle manovre poi è sempre vario e fantasioso: prendiamo la spesa sanitaria imputata da anni di essere eccessiva e per questo monitorata e ridiscussa ogni anno. Ogni tanto si impongono ticket per le visite specialistiche o per i medicinali sempre dichiarando che occorre andare al fondo degli sprechi (altro eufemismo che rende oggettivo e impersonale ciò che spesso dovrebbe essere chiamato furto di denaro pubblico e corruzione). Gli sprechi continuano e le regioni devono trovare i soldi in altro modo, ma sempre i contribuenti pagano.
Sarebbe lecito aspettarsi da chi governa lungimiranza e rigore e, invece, scopriamo sempre improvvisazione e preoccupazione per la difesa del proprio spazio elettorale e delle proprie clientele e anche irresponsabilità. Come possiamo definire l’allegra superficialità del nostro Presidente del Consiglio che appena l’anno scorso proclamava che la crisi internazionale non avrebbe toccato l’Italia? E in quale altro modo si può spiegare la persistenza di un’evasione fiscale che supera, secondo valutazioni concordi, la cifra di 100 miliardi di euro? E di una corruzione che pesa, secondo la Corte dei Conti, per la metà di questa cifra? Se pensiamo che dietro questi numeri non c’è il destino o la fatalità bensì indirizzi e decisioni ben calcolate (come gli scandali della politica affaristica hanno sempre dimostrato) allora c’è n’è abbastanza per arrabbiarsi.
Le decisioni del Governo vengono presentate come ineluttabili e prive di alternativa. Sicuramente rappresentano la via più semplice per raggiungere l’obiettivo di tamponare la situazione, ma per la natura stessa della fragilità italiana, non andranno lontano. Il problema non è la speculazione sulla quale l’Europa è intervenuta, sia pure tardivamente, con la decisione di “proteggere” i titoli del debito pubblico degli stati. Il problema dell’Italia è sempre lo stesso da decenni e ha molte facce tutte collegate: debito pubblico, spesa pubblica, efficienza dello Stato, politiche industriali, equità sociale.
Prendiamo l’equità sociale. E’ risaputo che dopo il passaggio all’euro si è verificata una gigantesca redistribuzione dei redditi a sfavore dei lavoratori a reddito fisso e a favore di quelli che decidono il prezzo delle loro prestazioni. Non c’è bisogno di essere scienziati per capire cosa è successo quando da un mese all’altro molti prezzi hanno seguito la parità con la lira (mille lire=un euro) e le retribuzioni no (mille lire=mezzo euro). Questo trasferimento di ricchezza ha coinciso con un quinquennio di governo (2001-2006) assai permissivo per le categorie che ci hanno guadagnato. In quegli anni la ricchezza di tanti è stata occultata e il fisco ha fatto finta di non vedere. Quando si è deciso di favorire il rientro dei capitali e delle ricchezze detenute all’estero si è accordato un altro privilegio con l’aliquota del 5% con la quale tutto è stato legalizzato. Nel frattempo lo Stato si è retto grazie ai tanti che non sono sfuggiti al fisco (lavoratori e anche piccole imprese). Oggi si lamenta una caduta dei consumi, ma quali scelte politiche di governo sono state fatte quando c’erano un po’ di miliardi da spendere? Eliminazione dell’ICI e salvataggio dell’Alitalia, 6 miliardi di euro. E quanto sono costati i grandi eventi e la truffa della cricca di malfattori che si nascondeva dietro gli interventi straordinari gestiti dalla Protezione civile? 1 miliardo, 2 o più? Chi doveva vedere e agire nell’interesse pubblico non ha visto perché non gli conveniva e oggi chiama al sacrificio. Con che credibilità?
Nel merito delle misure adottate c’è solo da osservare che il Governo, coerentemente con le sue scelte precedenti, non ha voluto fare nulla per chiedere di più a chi ha avuto di più in questi anni e non ha fatto nulla per modificare scelte tanto costose quanto velleitarie e convenienti solo per alcuni gruppi di aziende e per determinati settori politici. Ci si riferisce al Ponte di Messina opera quanto mai inutile oggi, alla tassazione dei grandi patrimoni e delle rendite finanziarie (i guadagni di borsa pagano ancora il 12,5%), alla revisione della spesa per l’istruzione e per la sanità privata (quest’ultima continua a generare scandali per le truffe che vengono scoperte). E la spesa per la politica dove viene tagliata? forse i rimborsi elettorali vengono dimezzati? sì si tenta di tagliare alcune province, ma già il giorno dopo Tremonti e Berlusconi appaiono perplessi. Anche la spesa militare può essere oggetto di revisione sia per ridurre i numerosi impegni all’estero che le spese per gli armamenti. Per aiutare l’economia però non bastano i tagli occorre anche rilanciare i consumi interni e le esportazioni. È controproducente togliere qualcosa dalle tasche di cittadini che vivono di lavoro dipendente e lasciare che crescano i grandi patrimoni. Per questo ci vuole un’imposta straordinaria sulla ricchezza patrimoniale di maggiore entità. Per aiutare le imprese occorre puntare sullo sviluppo di quei settori che in tutti i paesi occidentali guardano al futuro (l’economia verde) e praticare un rapporto leale con le pubbliche amministrazioni (ritardo nei pagamenti).
Si tratta di scelte alternative che potrebbero essere praticate da un Governo e da un Parlamento che si prendano cura veramente degli italiani nello spirito dell’unità nazionale e della coesione sociale. La via imboccata dal nostro Governo non è questa e lo dimostra anche l’accanimento con il quale in Parlamento si prosegue giorno e notte nell’esame della legge che, di fatto, ostacola la magistratura nella lotta alla criminalità. Mentre si chiedono sacrifici agli italiani si tenta in ogni modo di far approvare una legge che garantirebbe l’impunità per i delinquenti che hanno contribuito a saccheggiare lo Stato e si tapperebbe la bocca a giornali e radiotelevisioni che volessero far sapere cosa sta succedendo. Questi sono i fatti che sappiamo distinguere dalle ipocrisie dei responsabili di questa situazione.
Claudio Lombardi
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