La privacy dei piloti e la sicurezza

il-blog-di-claudio-lombardi-154x160La Lufthansa attraverso il suo portavoce, Helmut Polksdorf, confessa candidamente di non avere “informazioni sulle eventuali malattie che colpiscono i suoi dipendenti ». «L’idoneità al volo viene verificata e certificata ogni anno dai medici specializzati di un’istituzione federale».

Tutto corretto. Peccato che Lubitz avesse problemi psichiatrici molto seri tanto che a casa sua sono state trovate grandi quantità di psicofarmaci. Chi glieli aveva prescritti e perché? Non certo chi rilasciava i certificati di idoneità. Qualcuno si era chiesto che lavoro facesse Lubitz? E se sì, sarebbe stato possibile informare la compagnia aerea?

La risposta probabile è no. Nessun medico, anche se a conoscenza del lavoro di Lubitz avrebbe potuto trasmettere informazioni alla Lufthansa. Il rispetto della privacy è diventato un valore assoluto, insormontabile, un feticcio che adoriamo. Nella vita reale, a volte, invece, è un ostacolo che mette a rischio altri valori ben più importanti come la vita degli altri.

La strage dell’Airbus parla chiaro e dovrebbe portarci ad una riflessione seria e ad un’inversione di marcia. Il diritto alla riservatezza sui dati personali si deve attenuare e finire quando sono in gioco valori superiori. Piloti, conduttori di treni, di autobus, di metropolitane, chirurghi sono solo alcuni esempi di persone in grado di mettere in pericolo la vita di altre persone eseguendo il loro lavoro. Di loro i datori di lavoro dovrebbero sapere tutto ed essere responsabili dei danni causati. È così difficile capirlo?

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