La ricchezza sarà comune o non sarà: una terza strada fra pubblico e privato (di Alberto Biancardi)

Il titolo è preso in prestito, con qualche adattamento, da André Breton, il leader dei surrealisti francesi. Infatti, la citazione corretta sarebbe “la bellezza sarà convulsa o non sarà”.

 Lo spunto mi è venuto leggendo le posizioni espresse dal leader dei Conservatori inglesi, David Cameron che si riflettono anche nel programma di governo. Nel quadro di un indirizzo di generale decentramento amministrativo si prevede, con molta enfasi in verità, che alcuni servizi pubblici siano forniti da strutture decentrate e partecipate direttamente dai cittadini, incoraggiando la responsabilità del singolo individuo.

 È noto che sul tema della partecipazione di cittadini e consumatori alla definizione e all’erogazione dei servizi pubblici c’è una letteratura economica molto ampia. Lo stesso tema dell’imprenditore sociale è oggetto da qualche tempo di particolare attenzione da parte degli economisti, ma anche dei politici e degli amministratori.

 Fra i contributi cui si può fare riferimento, particolarmente interessanti mi sembrano quelli di Elinor Ostrom (Nobel per l’economia nel 2009). La motivazione principale dell’assegnazione del premio sta proprio nell’aver dimostrato come i beni comuni possano essere gestiti adeguatamente da unioni e accordi fra utilizzatori dei medesimi beni. Ostrom, infatti, ha studiato in quali circostanze una comunità sia in grado di identificare e applicare tutte le norme comportamentali alla base della produzione e ripartizione di un bene comune, senza alcun intervento da parte del governo centrale.

 La ricerca di Elinor Ostrom e dei suoi collaboratori non è solo di tipo teorico e formale, ma anche sperimentale e basata sullo studio di situazioni vigenti in svariate realtà. È interessante osservare come dalle analisi sperimentali e dai case study il coordinamento fra individui emerga spesso come soluzione efficiente e preferita dagli individui, anche se attraverso modalità differenti fra loro.

 L’analisi è riferita ai cosiddetti pool di risorse comuni (common-pool resources), cioè quei beni – si pensi ai pascoli alpini o alle aree di pesca – il cui consumo ha bassa escludibilità ed elevata rivalità.
Non è, dunque, una regola definita al di fuori della comunità che consente di coordinarsi e di rendere sostenibile l’azione del consumo: sono i singoli individui che percepiscono come singolarmente e collettivamente conveniente il coordinamento. Anzi, proprio in base a questa percezione, si definiscono regole – talvolta implicite – per limitare l’uso della risorsa comune e per sanzionare chi dovesse decidere di non adottare il comportamento cooperativo.

Le condizioni che si devono verificare affinché i singoli individui siano indotti a collaborare sono riconducibili, in estrema sintesi, alla creazione di un sistema di mutua identificabilità di ciascun individuo e di elevata informazione sulle conseguenze derivanti dall’azione individuale e collettiva.

In sostanza, per l’esplicarsi della cooperazione e per garantire la sostenibilità del pool di risorse comuni devono venire meno i comportamenti che, seguendo la terminologia in uso nella teoria economica, portano alla cosiddetta tragedy of the commons che consiste essenzialmente nell’incentivo a sovra sfruttare la risorsa in assenza di limiti e controlli. Il rimedio sta nella consapevolezza che, nel lungo periodo, lo stesso consumatore egoista sarebbe privato della disponibilità del bene e, quindi, nella preferenza per un modello di coordinamento con gli altri consumatori (e produttori, nel caso) per garantire la sostenibilità del comportamento della collettività nel suo complesso.

È interessante notare che le alternative alla tragedy of the commons (cioè, la distruzione della risorsa pubblica) costituite dalla privatizzazione, dalla regolazione dei comportamenti e dall’affidamento ad un operatore pubblico, secondo la Ostrom, presentano ognuna dei limiti e delle problematicità.
Infatti, affidare a un’entità terza – privata o pubblica – rispetto alla comunità locale la gestione del pool rischia di rivelarsi inefficace al fine di tutelare la medesima risorsa, in quanto sia l’organizzazione pubblica che quella privata hanno propri obiettivi che non necessariamente implicano una piena tutela della risorsa.

A tal fine, vanno comunque imposte regole, all’operatore pubblico e a quello privato. Tuttavia, le informazioni non sono sempre disponibili in misura adeguata presso il governo centrale (e/o il regolatore) e, di conseguenza, il processo di definizione delle norme rischia di essere lungo e le stesse norme rischiano di essere imprecise.

In definitiva, gli strumenti della privatizzazione, dell’affidamento a un operatore pubblico e della regolazione non sono privi di controindicazioni: dunque , l’affidamento della gestione della risorsa a una comunità locale in grado di autoregolarsi è un’opzione percorribile e che, talvolta, può rivelarsi più efficiente delle soluzioni adottate più comunemente.

Ciò rende interessante il richiamo al programma dei conservatori. Non è certo la prima volta che destra e sinistra intersecano il loro percorso su questi argomenti. La stessa anima della sinistra, riguardo al rapporto fra Stato e cittadino, è storicamente duplice, e vede la convivenza fra tesi che identificano nella grande impresa pubblica e nel governo centrale la via maestra da seguire (tesi finora prevalente sotto il profilo applicativo), con quelle che auspicano il decentramento e l’adozione di schemi di democrazia diretta. Ciò che colpisce è che questo orientamento di sinistra che auspica il decentramento non è così lontano da molte delle posizioni del liberismo, anche di quello più radicale.

Ovviamente nelle posizioni di Cameron conta molto che questo è uno dei punti su cui è più probabile che si possano conseguire risparmi nel bilancio pubblico. L’alternativa, nella sua logica, sembra essere fra tagli indiscriminati – che colpirebbero comunque più i poveri che i ricchi – e misure di decentramento e affidamento ai cittadini di parte dei servizi pubblici, almeno in teoria in condizione di non peggiorare il livello di fornitura dei servizi medesimi e, al tempo stesso, di consentire un miglioramento dello stato della finanza pubblica.

Detto questo, un’ulteriore considerazione è direttamente connessa all’analisi di Elinor Ostrom che si è concentrata molto nell’analisi di contesti lontani da quelli che caratterizzano l’Occidente: si pensi alle riserve di caccia degli Indiani d’America, piuttosto che alla condivisione delle risorse idriche in sistemi agro pastorali asiatici. Ciò, però, non ha impedito di formulare osservazioni assai pregnanti riferite a situazioni ben più complesse e “occidentali”. La stessa Ostrom, in un recente articolo, ha rilevato come le caratteristiche dei pool di risorse comuni non siano attribuibili solo ai prodotti e servizi fruibili presso pascoli, aree di pesca o simili, che lei stessa e i suoi collaboratori hanno a lungo studiato. Internet o i mainframe informatici, ad esempio, sono considerabili common-pool resources, e lo sarebbe persino la finanza pubblica. Non so se la Ostrom se la sentirebbe di suggerire per quest’ultima una gestione pienamente decentrata e un’auto-regolazione… Tuttavia, a mio avviso, alcune parti della sua analisi sono estremamente interessanti per percepire al meglio le opportunità e sfide che si presentano.

 Quando ci si trova di fronte a un pool di risorse comuni, quanto più i soggetti sono informati delle conseguenze dei propri atti e si possono controllare con rapidità i comportamenti, tanto più è probabile che la cooperazione funzioni. Come dire: più gli individui si responsabilizzano, meno c’è bisogno di imporre regole dall’esterno senza che l’efficienza del sistema diminuisca. Questo vale anche per la finanza pubblica e per i servizi che questa deve finanziare.

 Anche se il progetto di una comunità consapevole nel caso di produzione e distribuzione di molti servizi pubblici può apparire utopistico sotto molti aspetti bisogna rendersi conto che lo stato attuale è spesso desolante: servizi costosi per la finanza pubblica, di qualità non elevata per i fruitori e la cui contrattualizzazione (cioè definizione di prezzo e servizio fornito) avviene in situazioni sempre più squilibrate. Da una parte, le agguerrite lobby dei produttori e, dall’altra, una burocrazia appesantita e inefficiente.

 Il miglioramento della capacità di selezione dei propri obiettivi da parte dei cittadini, la possibilità di disporre di informazioni affidabili, il monitoraggio di lobby e di burocrazia, per quanto siano obiettivi, come detto, sotto molti profili utopistici, rappresentano uno dei principali punti su cui una politica migliore dovrebbe puntare.

 Un cittadino che partecipa alla definizione dei servizi pubblici può diventare anche un migliore elettore, un soggetto maggiormente capace di tutelare i propri interessi e, al tempo stesso, di delegare ai politici e ai burocrati quello che non riesce o non vuole fare. Tra l’altro, viste le ristrettezze in cui versa la finanza pubblica di gran parte dei paesi maggiormente avanzati, non si vedono molte altre strade alternative da percorrere per mantenere almeno invariata la qualità dei servizi erogati.

 Tenuto conto dello stato della finanza pubblica in molti paesi occidentali e della crescente difficoltà a garantire servizi pubblici in quantità e qualità adeguate, forse si può dire davvero che la ricchezza o sarà comune o non sarà.

 Alberto Biancardi

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