La riforma Rai del Governo: un gioco di prestigio?
Il Governo ha finalmente deciso quale riforma della Rai vuole portare in discussione in Parlamento. Il testo rispecchia le linee guida decise agli inizi di marzo e il Presidente del Consiglio parla di un grande cambiamento che porterà al rilancio dell’azienda Rai e ad estromettere i partiti dalla sua gestione.
Ma davvero? Come ci ricorda Christopher Nolan nel film “The Prestige” uno spettacolo di magia si compone di tre atti: la “promessa” nella quale si mostra al pubblico qualcosa di ordinario che deve essere trasformato; la “svolta” nella quale quel qualcosa sparisce; il “prestigio” che si realizza quando quel qualcosa ricompare ed appare straordinario. Nel caso della riforma Rai il “prestigio”, però, sembra non funzionare perché ciò che doveva riapparire come qualcosa di straordinario continua ad apparire al pubblico tale e quale.
Renzi aveva cominciato bene dichiarando la ferma volontà di chiudere con la lottizzazione partitica della Rai e aveva promesso che la sua riforma lo avrebbe fatto. Dalla bozza approvata in Consiglio dei ministri sembra, invece, che solo una magia potrebbe far apparire nuovo un sistema che è pressoché identico a quello attuale.
Oggi il Parlamento, attraverso la Commissione di vigilanza Rai, elegge sette membri del CdA e il governo due. Il CdA poi nomina un Direttore generale (indicato dal Governo). Domani il Parlamento nominerebbe quattro componenti e il Governo due (indicandone uno come amministratore delegato). Oggi c’è un direttore generale, domani ci sarebbe un amministratore delegato. Sì l’amministratore delegato ha più poteri del direttore generale, ma la sostanza sta in quei sei membri nominati dai partiti. Di maggioranza si presume. Già perché in Parlamento e al Governo ci sono i partiti e la maggioranza decide tutto, se vuole.
L’unico vero cambiamento è far entrare in CdA un rappresentante dei dipendenti. Un po’ poco e anche poco significativo.
Infatti, se il problema era che il governo della Rai dovesse rispecchiare la molteplicità delle componenti culturali, sociali, politiche, artistiche, di opinione che compongono la società, la risposta non può essere “mettiamo dentro un rappresentante dei dipendenti e abbiamo risolto il problema”. La soluzione offerta dal Governo è puramente aziendalistica e, quindi, non risolve nulla.
No, il problema rimane e, a voler essere puntuali non riguarda nemmeno la gestione della Rai e il CdA che la deve condurre. Riguarda il servizio pubblico del quale si è smarrita la centralità. Di servizio pubblico si dovrebbe discutere di più perché la governance della Rai e la fonte di nomina dei suoi amministratori dipende dalla missione di cui viene incaricata.
La Rai non è un’azienda come le altre. Non fa automobili, tubi, ponti palazzi. Fa informazione, intrattenimento, spettacolo, arte e cultura. E lo fa per tutti, per assolvere ad una missione di interesse generale. Fa parte del mercato (che esiste già e non c’è bisogno di vendere un pezzo della Rai per crearlo come immagina qualcuno), ma non ne dipende e non lo domina. Per questo il servizio pubblico dovrebbe essere interpretato da tutti coloro cui è destinato e dai quali trae ispirazione. Un compito piuttosto complesso che richiede soluzioni all’altezza come è quella elaborata da MoveOn Italia con la partecipazione di tante altre realtà associative, di esperti, di professionisti della comunicazione nella proposta di riforma “La Rai ai cittadini” nella quale si prevede che a presiedere al servizio pubblico sia un consiglio di garanzia che vada molto oltre la rappresentanza dei partiti.
Bisogna imboccare questa strada se c’è l’intenzione di cambiare davvero. Altrimenti il rischio concreto è quello di passare dalla lottizzazione partitica della Rai ad una Rai del Governo.
Non a caso questa proposta è stata presa a base del disegno di legge già presentato alla Camera con primi firmatari Civati e Fratoianni. Altri progetti di legge ne hanno recepito alcuni contenuti e altri ancora saranno presentati nei prossimi giorni. Insomma la parola adesso passa al confronto parlamentare e non è detto che le posizioni in campo non possano produrre un buon risultato. Sarebbe saggio se anche il Governo considerasse e accogliesse la spinta che è venuta dalla società civile per la riforma della Rai e per il rilancio del servizio pubblico
Claudio Lombardi
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