La rimonta di Obama e il nuovo sogno americano (di Salvatore Sinagra)
Era il giorno dei morti di due anni fa, in America si votava per le midterm elections, ovvero per il rinnovo della camera bassa del congresso, di circa un terzo del senato e del governatore in gran parte degli Stati. I democratici di Barack Obama ne uscivano con le ossa rotte, strappavano senza sorpresa ai repubblicani la poltrona di Governatore della California, ma perdevano tutto il resto.
Il presidente Obama pagava le cattive performance dell’economia, peraltro ereditate dal suo predecessore, era incalzato a destra dai repubblicani che appiattendosi sulle posizioni estremiste dei Tea Parties, reclamavano tagli alle tasse nonostante i crescenti deficit di bilancio e tacciavano il presidente di socialismo per via della sua riforma sanitaria; a sinistra era attaccato da contestatori ed ipercritici che gli rinfacciavano di non fare abbastanza per portare avanti le riforme che aveva promesso.
Potrebbe sembrare siano bastati un piccolo calo della disoccupazione e qualche gaffe dello sfidante uscente per regalare ad Obama il suo secondo mandato; la gran parte dei sondaggisti assicuravano che alla fine l’avrebbe spuntata Barack, ma nessuno pensava potesse vincere con un margine di 3 milioni di voti.
Quando nel 2008 venne eletto presidente vinse sulle rovine di Bush, superò di circa 10 milioni di voti il suo avversario solamente perché rappresentava la più netta discontinuità con il suo predecessore. Per tutto il suo primo mandato Obama ha dovuto affrontare un’opinione pubblica per almeno la metà avversa al suo cavallo di battaglia, la riforma sanitaria, e nonostante si sia confrontato con il congresso di un colore diverso dal suo con pragmatismo americano è forse apparso agli americani troppo europeo; per questo, più che per la crisi che Obama ha cercato in ogni modo di placare, un buon avversario avrebbe potuto batterlo.
Romney ha puntato tutto su una politica ultraliberista, facendosi affiancare da un vice che tanto somiglia ai consulenti di Reagan e condendo i sui comizi di retorica thatcheriana che è sfociata in un clamoroso insulto a circa la metà degli americani, da lui accusati di essere parassiti; ma lo sfidante non ha perso sull’economia, ha perso perché non ha compreso i cambiamenti della società americana. Ha fatto il pieno tra gli anziani e negli Stati più conservatori, ma non è stato capace di capire quanto oggi sia variegata l’America. Romney è stato affossato dal voto di giovani, minoranze (non solo quella afroamericana ma anche quella ispanica), donne e genitori single. Si temeva che la questione razziale potesse penalizzare Obama, con i bianchi che ormai si sentono accerchiati e ispanici ed afroamericani che continuano a sentirsi esclusi, alcuni dei più irriducibili supporter di Obama temevano potesse emergere dalle elezioni il volto più conservatore dell’America; alla fine è andato tutto nella direzione opposta, ha vinto l’America cosmopolita e del cambiamento.
Non so in che misura i provvedimenti dell’amministrazione democratica abbiano dato il loro contributo alle recenti evoluzioni della società americana, ma di certo Obama è stato il più grande interprete del cambiamento, talvolta propiziandolo, talvolta cavalcandolo, talvolta restando a guardare. Da oggi non dovrà fare più campagna elettorale, non dovrà più convincere i suoi concittadini e, partendo da questo piccolo vantaggio, però, dovrà affrontare grandi problemi: ridurre il disavanzo di bilancio, trovare il posto degli Stati Uniti in un mondo che cambia per via delle potenze che sarebbe meglio definire irrompenti piuttosto che emergenti e unire un paese in cui il popolo non è mai stato così polarizzato.
Obama è quindi ripartito da quello che sa fare meglio: emozionare, tratteggiare i contorni di un sogno; ha dichiarato di voler unire il paese ed ha promesso ai suoi cittadini che l’America dovrà affrontare tante difficoltà, ma sarà sempre l’America. Obama e Romney hanno entrambi provato ad interpretare il sogno americano, tuttavia il self made man rappresentato dall’ex governatore del Massachusetts ormai non basta più agli americani, il sogno americano significa oggi speranza per i più deboli, rispetto delle diversità e lotta per la conquista di diritti economici e non; il sogno americano non vuol dire più solamente poco Stato e opportunità di diventare ricchi.
E qui c’è qualcosa che parla anche a noi europei.
Salvatore Sinagra
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