La scelta difficile del voto (di Claudio Lombardi)

Domani a quest’ora sapremo tutto e ragioneremo sui dati. Intanto si vota e saranno probabilmente molti quelli che ancora devono decidere che fare: votare o no? e se sì cosa esprimere con il voto? Delusione, protesta, rabbia, timore? Oppure una scelta non emotiva? E in questo secondo caso guidata da cosa? Interessi privati, sensibilità per gli interessi della collettività, scelte ideali, o un mix di tutti e tre gli elementi?

La scelta più logica sarebbe quella di andare a votare e di non votare scheda bianca (o non annullarla), ma scegliere una lista perchè comunque chi sarà eletto andrà a dirigere le istituzioni nelle quali si decide per tutti. Lasciar scegliere altri anche per noi non è mai una cosa buona.

Sappiamo che il non voto è un modo per esprimere una posizione e per lanciare un monito: “attenti perchè non siete legittimati”.

E’ utile, serve a qualcosa? In certi casi sì, ma in genere no perchè è una forma di protesta che non porta conseguenze a meno che non sia l’anticamera di una ribellione. Stesso discorso per la scheda bianca o annullata.

Dunque è meglio votare. Ma come? Emotività o razionalità? L’ideale sarebbe che l’emotività portasse alla razionalità di un progetto. Può sembrare contraddittorio, ma una forte spinta emotiva se non si traduce in una grande motivazione al cambiamento e, quindi, alla realizzazione di un nuovo equilibrio a che serve?

L’Italia ha bisogno di stabilità, di ordine, di rigore che sono le premesse di una rifondazione dello Stato e del rapporto fra questo e i cittadini.

Decenni di malgoverno (con qualche interruzione), di corruzione, di uso dello Stato per i propri interessi ci hanno abituato all’idea che la politica sia sporca, che l’ordine sia funzionale al dominio dei potenti, che il rigore sia far pagare ai più deboli il permissivismo delle classi dirigenti.

Il cambiamento che serve è l’esatto contrario. Ma perché sia vero non basta sbandierare alcune belle idee o una girandola di proposte giuste e fantasiose senza però un criterio che dia loro un senso, senza un progetto.

Detto in altro modo, non basta indicare il punto di partenza (rabbia, delusione, buona volontà), bisogna anche lasciar intravedere il punto di arrivo cioè l’idea che si vuole realizzare. E poi ci vuole il progetto ossia bisogna portare argomenti razionali, plausibili, convincenti che leghino in un filo logico sia la partenza che l’arrivo. E infine ci vuole la credibilità personale di chi si propone.

Il tutto ben sapendo che nessuno può fare miracoli e che i grandi cambiamenti avvengono sempre in modo progressivo per il semplice motivo che devono andare di pari passo con la maturazione civile dei cittadini e con il mutamento dei comportamenti anche individuali. Chi promette la salvezza con una svolta improvvisa e radicale sta promettendo l’impossibile e sta dando per scontato che sia sufficiente la volontà di un gruppo politico per imporre a tutti cambiamenti drastici. Esattamente ciò che è avvenuto in tutte le dittature del ‘900 con le conseguenze che conosciamo (guerre, distruzioni, miseria). Dunque meglio non affidarsi a simili illusioni. Nella migliore delle ipotesi fanno perdere tempo e provocano cocenti delusioni.

Claudio Lombardi

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