La sicurezza degli italiani: dallo stadio di Genova alle aggressioni di Roma e Milano, alla politica (di Claudio Lombardi)

Dopo diversi mesi passati ad interrogarsi sul modo migliore di allontanare i temutissimi ROM, dopo anni di allarmi per l’aumento dell’immigrazione che è stata sempre abbinata alla criminalità, dopo che la clandestinità è stata dichiarata reato, improvvisamente balzano in prima pagina notizie che rimettono con i piedi per terra la questione della sicurezza degli italiani e smascherano l’ipocrisia e l’opportunismo dei tanti che hanno agitato il problema sicurezza solo per farsi propaganda politica.

È opportuno partire dall’ultima notizia che non riguarda nessun fatto di sangue, ma è oltremodo significativa. Il Presidente della Commissione Antimafia, Beppe Pisanu, ha dichiarato che le liste dei candidati alle ultime elezioni amministrative erano zeppe di persone indegne di rappresentare nessuno perché colluse con la criminalità organizzata, quella vera (e tutta italiana e feroce) delle mafie che spadroneggiano in intere regioni del Paese e che espandono il loro dominio, con il riciclaggio dei capitali “sporchi”, dovunque, Roma e Milano in testa (ed anche all’estero come ci ricorda la strage di Duisburg di tre anni fa). La pressione sulla vita delle persone oneste è intollerabile e si esprime con ricatti, taglieggiamenti e violenza fisica che giunge fino all’assassinio di quanti si oppongono al suo predominio. Il sindaco Vassallo ucciso un mese fa testimonia dell’esistenza di una classe dirigente degnissima che rappresenta la parte migliore della popolazione, ma che è esposta, indifesa, ai criminali che agiscono per mantenere il controllo del territorio e delle attività economiche. È noto, d’altra parte, e fa parte addirittura dell’immagine nel mondo del nostro Paese, che le mafie non sono state sconfitte dallo Stato perchè le complicità a tutti i livelli della politica hanno sempre impedito che si colpissero i mandanti oltre che, sporadicamente, qualche esecutore.

Pensiamo o no che l’esistenza delle mafie cioè di forme di criminalità organizzata che mirano al controllo del territorio e alla conquista delle istituzioni locali, regionali e nazionali attraverso politici complici, siano un serio problema di sicurezza per gli italiani? Se la risposta è sì perché le prime pagine dei giornali non sono occupate tutti i giorni dalle notizie relative alla “guerra” con la criminalità? Perché al primo posto nei programmi di governo non compare la legalità e la riconquista del controllo del territorio e della libertà nelle regioni invase dalla delinquenza?

La risposta sta nei fatti che ci parlano di un Presidente del Consiglio imputato di reati comuni che da anni conduce una sua personale battaglia contro i magistrati per sfuggire ai processi e che è riuscito a costruire una maggioranza di governo intorno a questo suo programma e ad avere il voto degli italiani su programmi che somigliano ad illusioni. Italiani che hanno capito benissimo, però, la sostanza che c’è dietro, ma ne condividono lo spirito, quel “lasciate fare” che in altre società e culture indicava la libertà di iniziativa privata, ma che da noi significa un becero “fate quel che vi pare e fregatevene della legge e degli interessi generali”. Il sostanziale consenso intorno a questa parola d’ordine nasconde anche l’ulteriore illusione che sia possibile per tutti farsi spazio calpestando la libertà e i diritti degli altri pur di fare i propri interessi senza trovare altro limite che la forza che si riesce ad esprimere.

E, invece, tutti dovrebbero comprendere che questa strada è quella che getta tutti nella più profonda insicurezza. Se i disonesti rivendicano, urlando, il loro diritto a fare come gli pare, se riescono a conquistare posti di potere nelle istituzioni e a mettere sotto accusa i magistrati che perseguono i loro reati, se la criminalità riesce addirittura a darsi una rappresentanza politica, allora siamo tutti più insicuri.

La pratica di compiere reati di ogni tipo e di farlo con l’arroganza di chi sa quanto è difficile per lo Stato punire i responsabili dilaga. Anche all’estero si è diffusa questa convinzione, come già fu rivelato dalle inchieste giornalistiche sulla scelta dei delinquenti romeni di venire in Italia attratti dalla relativa facilità di sfuggire alle sanzioni penali. Se non fosse così non si comprende come mai i teppisti serbi siano venuti a compiere le loro azioni da noi, a Genova, senza aver timore di rischiare di pagare un prezzo molto elevato. La stessa cosa, d’altra parte, si potrebbe dire di quegli pseudo tifosi nostrani che da anni scatenano violenze dentro e fuori gli stadi senza rischiare granché visto che poi le ripetono regolarmente.

Si percepisce nella vita quotidiana la diffusa irresponsabilità di chi non si fa scrupolo di violare ogni regola pur di affermare se’ stesso. Il ragazzo che quasi uccide con un pugno una donna per un banale diverbio e il gruppo di teppisti che manda in coma il tassista che ha invaso il “loro” territorio dimostrano che in Italia c’è un serio problema di sicurezza per i cittadini che chiama in causa lo Stato, le forze di polizia e la magistratura insieme con le forze politiche che dirigono le istituzioni, approvano le leggi e le fanno applicare. Sarebbe ora di dire chiaramente che in uno Stato democratico, proprio perché ci devono essere le massime tutele per i diritti e le più valide politiche sociali, ci deve anche essere la massima severità nella punizione dei reati, la sovranità della legge e l’imparzialità nella sua applicazione.

È ovvio che se dal mondo politico viene l’esempio di disonestà cui siamo abituati ormai da anni non si può pensare che l’applicazione della legge, la certezza della pena e la severità delle sanzioni siano la preoccupazione principale di chi rappresenta il potere esecutivo e la maggioranza di quello legislativo.

Ha detto Sergio Marchionne “Hanno aperto lo zoo e sono usciti tutti”. Bella metafora che restituisce l’immagine di un paese non governato da una classe dirigente lungimirante e che vuole bene all’Italia, ma da gruppi di potere che tentano di usare i poteri pubblici e gli apparati per i propri interessi privati anche a costo di sfasciare la società e le istituzioni.

Questo è il vero problema della sicurezza degli italiani che, sempre più, si sentono soli e pensano di doversi difendere da soli perché lo Stato è in mano agli incapaci e ai profittatori.

Per fortuna non è sempre così, ma quelli sono ai posti di comando.

Che fare? La via giusta è riconoscersi fra persone oneste, organizzarsi e far vivere nei territori una realtà diversa da quella delle bande e degli sbandati che li occupano. La cittadinanza attiva può essere un deterrente e un’alternativa, base di un altro modo di vivere e di essere, se diventa qualcosa di più di una testimonianza isolata e sporadica. Il compito spetta a tutte le realtà che già esistono, ma che faticano a darsi un indirizzo preciso e a capire quale sia oggi il loro ruolo. La costruzione di una nuova classe dirigente passa anche da qui.

Claudio Lombardi

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