La situazione dei rifugiati ucraini un anno dopo
Tratto dalla newsletter FORZA LAVORO a cura di Lidia Baratta del sito linkiesta (www.linkiesta.it)
A un anno dall’invasione russa che ha costretto 8 milioni di ucraini a lasciare il Paese, oltre 600mila di loro hanno trovato un lavoro in Europa sui circa 4,7 milioni richiedenti protezione temporanea. Stiamo parlando in particolare di donne, visto che gli uomini restano a combattere in Ucraina. E i Paesi europei in cui i rifugiati si sono meglio sistemati sono soprattutto quattro: Polonia, Germania, Repubblica Ceca e Olanda. Qui il 60% di quelli che si sono iscritti negli uffici di collocamento ha trovato un posto di lavoro. Lo dice un rapporto della Commissione europea pubblicato su Europatoday.
E l’Italia? L’Italia non compare nelle statistiche perché è tra i pochi Paesi a non aver fornito a Bruxelles informazioni al riguardo. Quello che sappiamo è che, dopo la corsa a offrire un lavoro da parte degli imprenditori nei momenti successivi all’attacco russo, molti ucraini arrivati in Italia – tra cavilli burocratici e legali e condizioni di lavoro al limite dello sfruttamento – alla fine hanno preferito lasciare il nostro Paese per spostarsi altrove, soprattutto in Germania.
Lo scorso agosto aveva fatto il giro dei media ucraini il caso di una giovane donna di Kyjiv, che al giornale online Strana.ua aveva raccontato la sua esperienza in Italia, per la precisione in Puglia: «È davvero brutto lavorare qui, ti fanno raccogliere ciliegie per sei euro l’ora. Per questo non siamo durati a lungo, non accettano neanche i nostri bambini a scuola, dicono che non ci sono posti, quindi andremo in Germania, dove c’è un supporto sociale ed è più facile con il lavoro e le scuole”.
A oggi, sono 177mila gli ucraini che hanno chiesto la protezione temporanea nei centri italiani. Di questi, oltre l’80% è composto da donne e quasi il 40% da minori. Il che significa che potenzialmente ci sono circa 100mila ucraini che lavorano o che cercano lavoro.
Quasi la metà dei rifugiati ucraini si è stanziato tra la Polonia e la Germania. Al terzo posto la Repubblica ceca, con 445mila profughi, seguita da Italia e Spagna. L’accesso al lavoro però non è stato uguale in tutti i Paesi. In termini assoluti, stando ai dati della Commissione – che non contemplano l’Italia – poco più di 1 milione di ucraini si è iscritto ai centri per l’impiego nella Ue, in stragrande maggioranza donne: di questi, 614mila hanno trovato lavoro, mentre 413mila sono ancora disoccupati. Ci sono poi 53mila che ricevono un assegno di disoccupazione.
Il Paese con il maggior numero di lavoratori ucraini è la Polonia, seguita dalla Germania. L’Olanda è tra i grandi Paesi Ue quello che ha la più alta quota di rifugiati occupati: sui 96mila ucraini che hanno ricevuto la protezione temporanea, ben 62mila lavorano. Quasi 2 su 3. Nei Paesi Bassi, più della metà delle donne ucraine ha trovato lavoro meno di un anno dopo dall’arrivo. Solitamente le donne rifugiate impiegano dieci anni per raggiungere un tale tasso di occupazione.
L’inclusione nel mercato del lavoro dei rifugiati ucraini è stata più rapida rispetto ad altri gruppi di rifugiati. Come spiega l’Ocse, si tratta soprattutto di donne con livelli di istruzione superiori alla media rispetto ad altri gruppi di rifugiati e alla popolazione generale ucraina. Circa due terzi di chi cerca lavoro ha un titolo di studio medio-alto, una quota superiore alla media Ue. La stragrande maggioranza di loro era occupata all’inizio della guerra, soprattutto nei settori della sanità e dell’istruzione.
Ci sono poi le reti di ucraini già insediati nei vari Paesi europei, che hanno aiutato i loro connazionali a inserirsi. E c’è stata anche una congiuntura economica favorevole: all’indomani della pandemia, l’Europa si è trovata ad affrontare una carenza di manodopera eccezionale, soprattutto nei settori manifatturiero, della ristorazione, della logistica e dell’informatica. Ecco perché l’arrivo di ucraini altamente formati è stata vista come una manna da diverse aziende, anche in Italia. Tra i Paesi europei è scattata quasi una corsa ad accaparrarsi i lavoratori ucraini.
La stragrande maggioranza dei rifugiati ucraini che oggi lavorano in Europa, però, ha un titolo di studio maggiore rispetto a quello richiesto dall’impiego svolto. I lavori che fanno spesso hanno poco a che vedere con le loro effettive competenze, sono poco qualificati e spesso part-time, vista la necessità delle donne di accudire i bambini.
Un anno dopo, quindi, risulta particolarmente rilevante le questione della valutazione e riconoscimento dei titoli di studio e professionali ucraini. La Fondazione europea per la formazione sta confrontando il quadro delle qualifiche ucraine ed europee per favorire un maggiore automatismo nel riconoscimento dei titoli ucraini.
Ma gli industriali europei sembrano più preoccupati del fatto che, senza un lavoro di qualità, molti ucraini potrebbero fare marcia indietro e tornare nel loro Paese, tanto più quando la ricostruzione porterà investimenti non da poco.
Un ruolo importante lo svolgono la scuola e il lavoro. Poiché la stragrande maggioranza dei rifugiati è composta da donne e bambini, la domanda da porsi è: cosa faranno gli uomini impegnati sul fronte dopo la fine della guerra? La scelta potrebbe essere dettata anche e soprattutto dalle condizioni di integrazione dei figli e delle mogli.
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