La vittoria mediatica di Hamas col sacrificio dei civili
«Hamas mente sulle vittime palestinesi, ma sta vincendo la guerra mediatica contro Israele. Mettere a rischio la popolazione è una scelta razionale del gruppo islamista, che usa deliberatamente i civili come scudi umani». Questa la sintesi di un’intervista di Claudio Bertolotti, ricercatore Ispi e direttore di Start InSight e di ReaCT (Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo) nonché autore di Gaza Underground, analisi di un conflitto in cui la dimensione sotterranea è diventata il fulcro della strategia di Hamas e la disinformazione una tecnica di combattimento. Questo il link per il testo completo. Di seguito una sintesi.
Le proteste contro le operazioni dell’esercito israeliano costituiscono «la trappola mediatica in cui Hamas ha trascinato Israele. Purtroppo le vittime collaterali sono un rischio inevitabile in un contesto di guerra urbana e sotterranea, specie se la controparte sovrappone la componente civile non combattente a quella combattente».
La strategia di Hamas a Gaza, basata sull’uso dei tunnel, punta a massimizzare il numero di vittime civili, in modo da aumentare l’odio verso il nemico. Israele «è caduto nella trappola cognitiva di Hamas, che punta a indirizzare il nostro pensiero». La disinformazione è un elemento essenziale di questa strategia ed è più veloce di qualunque ragionamento. In questo modo l’opinione pubblica giudica prima ancora di sapere cosa è accaduto veramente sul campo.
Prendiamo la questione delle vittime civili. In realtà il loro numero «è il più basso di tutte le guerre urbane combattute nella storia dell’umanità». Tutti i media ripetono i numeri forniti da Hamas che sono comunicati per far credere che siano tutte vittime civili e, in particolare, donne e bambini come se a Gaza contro le forze armate israeliane non combattesse nessuno. Un falso grossolano preso per buono dalle opinioni pubbliche occidentali e, ovviamente, del mondo musulmano. Inoltre chi ricorda che le vittime civili sono state invocate dai leader di Hamas proprio per scatenare la reazione contro il nemico israeliano?
Infatti la scelta di Hamas di insediare le strutture militari sotto e accanto agli edifici civili prevede il sacrificio degli abitanti. Che i tunnel siano lo strumento chiave della strategia di Hamas lo dimostra il fatto che tuttora a Rafah nascondono una cospicua forza militare in grado di ingaggiare combattimenti con l’IDF e anche di lanciare razzi che colpiscono Israele.
La questione se la guerra debba fermarsi a Rafah ignora che Hamas non si è arreso né ha mostrato di voler cessare i combattimenti.
Aggiungiamo qualche considerazione. Questa grande guerra è stata preparata per anni e rientra in una strategia molto più ampia per l’affermazione del predominio dell’Iran sul mondo islamico. Il popolo palestinese poteva vivere e prosperare a Gaza libera da ogni occupazione israeliana dal 2005 e fornito di enormi sostegni economici da parte di mezzo mondo. Hamas ha imposto la sua dittatura teocratica e militare coltivando l’odio per Israele. Tutte le risorse sono state indirizzate ad un obiettivo di guerra che non aveva nulla a che fare con il popolo palestinese usato come carne da cannone o come scudo umano.
In questi giorni si moltiplicano i riconoscimenti dello stato palestinese. Ma quale? Porsi l’obiettivo strategico di uno stato per i palestinesi richiede due condizioni imprescindibili: la sconfitta di Hamas e l’abbandono di ogni proposito di cancellare lo stato israeliano (Palestina libera dal fiume al mare); la formazione di una classe dirigente palestinese che parta dal riconoscimento dell’esistenza di Israele. Riconoscere oggi uno stato palestinese senza queste due condizioni è una finzione
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