Lavoro diritti spesa: gli equilibri instabili dell’Italia

Un articolo di Alberto Brambilla tratto da https://www.itinerariprevidenziali.it

Lo avevamo scritto quest’estate: chi vincerà le elezioni non prenderà la coppa ma un calice amaro perché è davvero un compito difficile governare un popolo che, da oltre vent’anni, è stato alimentato dalle bugie e dalle demagogie della politica. Pur di conquistare il consenso la politica, soprattutto quella degli ultimi anni, ha convinto gli italiani che hanno tanti diritti negati, che meritano di più e soprattutto gratis: “Dobbiamo dare agli italiani quello che si attendono perché se lo meritano”. Gli italiani hanno o avrebbero insomma diritto di avere mutui bassi, case a poco costo, stipendi alti e riduzione del cuneo fiscale, buone pensioni e ristori e le risorse, tanto i soldi… ci sono!

E così c’è sempre un buon e nobile motivo per fare nuovo e più grande debito: ieri erano le pensioni, poi i mutui, la casa e oggi le bollette. Come attori consumati i rappresentanti dei vari partiti si alternano in tv con la frase imparata a memoria: “Noi ci batteremo per aiutare famiglie e imprese con ristori e bonus contro il caro bollette”. A oggi il virtuoso governo Draghi per ristorare famiglie e imprese dal rincaro dei prodotti petroliferi ed energetici ha erogato in spesa corrente circa 60 miliardi di euro pur senza scostamenti di bilancio, mentre il nuovo esecutivo ha dichiarato che ne spenderà altri 21. Sommati, fanno 81 miliardi, una somma enorme distribuita a pioggia senza aver prodotto un GWH di energia in più. È come se avessimo a disposizione un enorme granaio e, anziché risparmiare il grano per seminare e avere altri raccolti, ce lo mangiassimo tutto. Certo, l’inverno lo passeremo con la pancia piena e la casina calda ma, come le cicale, il prossimo inverno non avremo più grano e saremo davvero nei guai se la guerra ripartirà a primavera. Sarà infatti difficile riempire i depositi di gas e i distributori di benzina, e di soldi per ristori e bollette non ce ne saranno più, perché non possiamo continuare a indebitarci.

Abbiamo passato 10 anni con un’inflazione inesistente e, nonostante gli sforzi della BCE, abbiamo consumato come non ci fosse un futuro, tanto che anziché ridurre il debito lo abbiamo aumentato. Nessuno si ricorda più l’austerity, quella vera del 1973 con l’inflazione al 22%, l’embargo totale del petrolio da parte dell’OPEC, le fabbriche chiuse, le domeniche a piedi e le città semispente. In questi anni abbiamo raggiunto solo il 13% di energie rinnovabili compreso l’idroelettrico, che però abbiamo ereditato, come le bellezze d’Italia, e che hanno fatto altri non noi. Che la Russia abbia invaso la Georgia nel 2008, la Crimea nel 2014, massacrato Aleppo e Damasco nel 2016, ai manifestanti di pace di questi giorni non importa nulla. Per l’energia (gas e petrolio) ci siamo messi totalmente nelle mani di Putin, in compagnia con l’idolatrata Merkel, oggi vituperata, con Nord Stream 1 e 2 e, sempre in compagnia tedesca “i gialli”, quelli che non vogliono più dare armi agli ucraini perché vogliono la pace, per assonanza iridea avevano pure sottoscritto “la via della seta”.

Ecco, oggi un trentenne è cresciuto con la convinzione che se lo dicono i politici tutto gli sia dovuto e così è bastato meno di un anno di inflazione e prezzi alti per dichiarare il fallimento del Paese. Governare diventa un’impresa titanica perché, se anche non si volesse fare eccessivo “scostamento di bilancio” (è un imbroglio per non dire nuovo debito, come operatore ecologico anziché spazzino), l’opposizione di turno continuerà a chiedere soldi pur di piantare bandierine. E i risultati non indicano gli italiani tra i più meritevoli nel confronto con i Paesi UE e OCSE. Da noi si dice che l’ascensore sociale si è bloccato e, invece, i giovani che hanno messo su start-up o attività tecnologiche dimostrano che l’ascensore funziona benissimo. Basta aver voglia e merito. Già, il merito: è bastato inserirlo in un Ministero che, apriti cielo, è scoppiata la polemica; del resto, è normale in un Paese dove il merito conta zero e la parola “doveri” è sconosciuta.

Risultati? A partire da quest’anno siamo ultimi nelle classifiche per occupazione totale, femminile e giovanile. Siamo stati battuti, ci dice Eurostat, anche dalla Grecia che ha un tasso di occupazione totale pari a 60,5% contro il nostro 60,3%; oltre 10 punti in meno della media europea (circa 4 milioni di lavoratori in meno) e quasi 20 rispetto al nord Europa. Si parla sempre di povertà e disuguaglianze ma se in Italia i lavoratori sono meno di 23 milioni, mentre nella vicina Francia, che ha gli stessi nostri abitanti, sono in 34, è evidente che da loro quantomeno ci sono 11 milioni di buste paga in più e almeno 16 milioni di francesi che sbarcano bene il lunario. In media, in Europa, lavora il 52/53% della popolazione residente; in Italia, meno del 38% e la povertà è tutta in queste cifre. Quello che è strano per un Paese di poveri è l’analisi del gioco d’azzardo, dove l’Italia primeggia; tra legale e illegale spendiamo oltre 130 miliardi, più dell’intera spesa sanitaria, per non dire del possesso di auto e moto. Siamo anche ultimi per tasso di produttività nazionalenegli ultimi anni, in media, i nostri Paesi concorrenti crescono dello 0,8% l’anno, noi dello 0,1%. E così i redditi in 30 anni hanno perso da noi il 2,9% di potere d’acquisto, mentre nell’Est Europa sono raddoppiati, +63% in Svezia, +39% in Danimarca e poco sotto il 33% in Germania, Finlandia e Francia. Eppure, ci dice la Fondazione Giuseppe Di Vittorio (CGIL), il 97% dei lavoratori è coperta da contratti sindacali nazionali.

Siamo così sicuri che spendendo 150 miliardi l’anno per assistenza sociale favoriamo il Paese? Non è che, invece, diminuiamo quelli che lavorano e aumentiamo i NEET, cioè quelli che non studiano e non lavorano (oltre 3,1 milioni; qui siamo primi in classifica assoluta in UE e con il 25% distanziamo di 11 punti la media UE) e il lavoro nero?

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