Le due strade dell’Italia e l’urgenza di una guida politica (di Claudio Lombardi)
Due strade contrapposte si aprono di fronte al governo e di fronte al Paese. La prima è quella dell’Europa nella quale stanno maturando le condizioni per una svolta che metta fine alla sciagurata politica del rigore nei conti pubblici. Hollande ha parlato e il suo discorso indica una strategia e una politica persino utopiche rispetto alla situazione attuale. Tuttavia ha parlato il Presidente della Francia che si è sempre opposta ad una Unione Europea che prendesse una parte dei poteri che spettano agli stati nazionali. Oggi, invece, il percorso di Hollande è un altro e porta ad un bilancio europeo governato da istituzioni democratiche europee e indirizzato ad attuare politiche europee sostenute da un debito pubblico e da una fiscalità europee.
Se si seguisse questa strada nel giro di pochi anni la crisi sarebbe superata e l’Europa non sarebbe più quella presenza matrigna che mette solo divieti, ma diverrebbe la “nuova frontiera” capace di mobilitare enormi risorse economiche e umane del continente.
L’Italia è già parte di questa strategia sia per una sensibilità europea da sempre più viva che in altri paesi, sia perché solo da una reale unione politica ed economica il nostro Paese può trarre le energie per risolvere i problemi strutturali che ci indeboliscono. Si danno tante colpe all’introduzione dell’euro e si ha ragione a dire che una unione monetaria senza politica e bilanci comuni non si sarebbe dovuta fare, ma non si ricorda mai abbastanza che l’Italia ha goduto di un lungo periodo di bassi tassi di interesse che sono stati un’occasione persa per l’incapacità e la corruzione di una classe dirigente che ha fallito la sua missione.
Purtroppo c’è anche la strada interna che minaccia di far saltare qualunque prospettiva di sviluppo. Ogni giorno ha la sua provocazione, il suo inciampo, il suo pretesto per distogliersi dall’ esigenza di non andare allo sbando proprio adesso.
Il catalogo è ampio: dalla legge elettorale, ai processi di Berlusconi, alla riscoperta della sua ineleggibilità, alle evoluzioni di Grillo e del M5S, alla crisi del Pd.
Sulla necessità di cambiare la legge elettorale sembra che siano tutti d’accordo. Ma è falso perché, come è stato negli ultimi anni, tutti seguono solo i loro calcoli quotidiani e cambiano posizione con la leggerezza dell’irresponsabilità. Come è noto la Corte Costituzionale prenderà in esame questa legge elettorale ed è probabile che dichiari incostituzionale il premio di maggioranza. Che faranno allora i partiti?
Il Pdl e la Lega in realtà pregano perché ciò non accada dato che sono loro gli autori della legge e dato che l’hanno scritta apposta per garantirsi o la maggioranza o l’impossibilità di vittoria di un altro schieramento politico. La legge porcata è stata scritta in modo che possa ottenere la maggioranza al Senato solo chi si aggiudica le quattro regioni nelle quali la Lega è determinante. Ecco perché Berlusconi se non vince comunque riesce ad impedire ad altri di vincere. E volete che Berlusconi cambi una legge così?
In realtà se si dovesse fare una legge elettorale seria preoccupati solo di garantire la governabilità l’unica soluzione sarebbe quella basata su collegi uninominali con il doppio turno e il ballottaggio. Che possa funzionare lo dimostra l’esperienza dei comuni dove un meccanismo simile (non uguale) è in vigore da molti anni.
Ad una soluzione tanto semplice e razionale non si oppongono solo i “bari” autori del porcellum, ma anche tutti coloro che finora hanno approfittato di questo meccanismo per tenere in pugno i loro partiti. Per non parlare dell’alta burocrazia depositaria di un potere reale invisibile ai più, ma molto penetrante da sempre interessata ad una politica debole e altamente predisposta alla corruzione. Solo da pochi mesi insospettabili giornali come il Sole 24ore e il Corriere della Sera hanno “osato” valicare il muro di discrezione che circonda i vertici amministrativi dello Stato denunciando veri e propri sabotaggi dell’azione del governo e il mantenimento di privilegi scandalosi basati sull’omertà di casta.
Intanto i partiti che dovrebbero rappresentare l’alternativa a questo assetto non riescono a trovare la lucidità per farlo. Il Pd si dibatte in un congresso permanente che gira intorno al peso di gruppi di potere e non ad opzioni politiche e ideali chiare. Se si guardasse solo ai dirigenti verrebbe da ripetere l’invettiva di Nanni Moretti di un decennio fa (“Con questi dirigenti non vinceremo mai!”). Per fortuna che sta emergendo una spinta degli iscritti e di una nuova generazione di parlamentari e di rappresentanti territoriali che non accettano più di sottomettersi ai vecchi giochi di potere.
Il M5S che doveva essere il motore di un cambiamento radicale non riesce ad uscire da uno stato di minorità creato dalla soggezione a Grillo e a Casaleggio. L’ultima trovata è stata quella dei parlamentari al guinzaglio a cui un’ipocrita “circolare” dello staff di Casaleggio vorrebbe togliere la libertà di comunicazione con la stampa. La natura di movimento e non di partito non viene rivendicata per mostrare una maggiore apertura alla società, ma per evitare sedi democratiche di decisione e la creazione di gruppi dirigenti espressione della base. Se questa minorità non viene superata il M5S potrà urlare quanto gli pare, ma è destinato ad essere inutile per un cambiamento vero per il semplice motivo che non può guidarlo chi non lo vive e non lo incarna e non sembra proprio che la museruola ai parlamentari e l’assenza di sedi decisionali siano un esempio di cambiamento.
Le due strade del governo sono le due strade dell’Italia sotto stress perché protesa ad un cambiamento possibile e raggiungibile, ma trattenuta da interessi ristretti ad ampio spettro sia personali che di gruppo presenti in tutti gli schieramenti politici e nel cuore dello Stato. Urge una guida politica che rappresenti la parte migliore del Paese.
Claudio Lombardi
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