Le elezioni in Austria parlano dell’Europa
Le elezioni in Austria ci parlano di Europa e della sua crisi di identità. hanno molto da raccontarciIl candidato del Partito della Libertà (FPӦ), forza dell’estrema destra ha vinto il primo turno delle presidenziali austriache ed ha perso il secondo per una manciata di voti. Si tratta di un esito che ha sconvolto molti in Italia ma mi stupisco di chi ancora si stupisce: fin dagli anni novanta il partito guidato un tempo dal defunto Jӧrg Heider ottiene risultati notevoli entrando persino a far parte di un governo di coalizione.
Il capogruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo Gianni Pittella ha dichiarato prima del ballottaggio che a prescindere dal risultato finale ormai la situazione è assai grave, perché l’estrema destra è stata definitivamente sdoganata. In verità in Austria il Partito della Libertà è ormai da lunghissimo tempo sdoganato: ha spesso conseguito risultati ben superiori al 10%, ha per un breve periodo fatto parte del governo nazionale e con Heider ha espresso per molti anni il governatore della Carinzia. E’ un partito di estrema destra diverso da quelli tradizionali: fino al 1993 faceva parte del campo liberale, non è una forza neofascista o post fascista come il Movimento Sociale Italiano o come diverse formazioni dell’Europa orientale, non ha un passato revisionista che lo condanna ad una conventio ad excludendum come accade per il Front National in Francia, è difficilmente assimilabile ai partiti ultraconservatori che esprimono presidenza e governo in Polonia ed Ungheria. Solo sporadicamente qualche suo notabile ha espresso pareri in parte positivi sul nazismo per contestare le politiche sociali dei popolari e dei socialdemocratici. Dai primi anni novanta il partito si definisce una forza per gli austriaci e contro l’immigrazione.
C’è chi riconduce la crescita dell’estremismo di destra nella Mitteleuropa al passato austroungarico: gli austriaci come gli ungheresi non vogliono contaminarsi con gli altri europei perché temono di perdere la loro specificità, la loro efficienza, il loro benessere. Io sono sempre assai perplesso di fronte a interpretazioni storico culturali che legano fenomeni attuali a eventi di molti decenni fa eppure nella vecchia Europa Centrale il passato sembra non passare mai. Le principali comunità non sassofone in Austria sono rappresentate da alcuni gruppi slavi e da una minoranza musulmana in gran parte turcofona. Gli austriaci hanno un rapporto difficile con i turchi che risale addirittura all’assedio di Vienna del 1683 che segnò la fine dell’espansione ottomana e 150 anni di relazioni difficili tra Vienna ed il mondo musulmano. Tale precedente storico ha avuto un peso non trascurabile nel dibattito in Austria sull’adesione della Turchia all’UE. L’estrema destra austriaca ha approfittato dei negoziati con la Turchia per qualificare la sua islamofobia come un estremo tentativo di difendere l’identità austriaca ed Europea.
I nazionalisti austriaci ricordano più che l’estrema destra tradizionale europea, il liberalnazionalismo dell’olandese Pim Fortuyn e le posizioni ormai trasversali in Danimarca di chi ritiene che gli stili di vita degli immigrati, soprattutto se di origine musulmana, non siano compatibili con le libertà individuali europee e con la socialdemocrazia.
I partiti tradizionali in Austria hanno inseguito l’estrema destra sull’immigrazione ed hanno raccolto risultati drammatici. Così mentre la coalizione popolare-socialdemocratica di Angela Merkel si è impegnata in una politica dell’immigrazione progressista, il governo di larghe intese austriaco, guidato tra l’altro dal socialdemocratico Faymann ha trovato convergenze sui migranti con l’estrema destra dell’Europa orientale.
Si è detto che al secondo turno delle presidenziali austriache la gran parte dei laureati ha scelto il candidato verde mentre la gran parte degli operai ha votato il candidato dell’estrema destra. In realtà la relazione tra tensioni sociali e successo dell’estrema destra è assai poco lineare in Europa. In Austria non si sono registrati significativi tagli al welfare, non è stata varata una versione austriaca delle norme sul lavoro introdotte da Gerhard Schrӧder in Germania, la spesa sociale in Austria e alta ed è particolarmente alta quella dedicata alla politiche attive del mercato del lavoro e a partire dal 2009 mentre la povertà è aumentata non solo nei paesi in forte crisi, ma lievemente anche in paesi che sono cresciuti ininterrottamente come Gran Bretagna, Germania e Svezia in Austria è diminuita. Inoltre non è scontato che un operaio stia peggio di un giovane laureato. Più chiara è la distribuzione territoriale dei voti del secondo turno con i verdi che vincono a Vienna e l’estrema destra che prevale nel resto nel paese. In pratica i progressisti vincono solo in città. Sono significative le analogie tra l’Austria e la Gran Bretagna conservatrice di Cameron con la capitale governata da un progressista figli di immigrati.
L’Austria quindi appare preda di un conservatorismo identitario, simile in questo ad altri piccoli paese come la Svezia e la Danimarca. I recenti affanni dell’Unione Europea sono anche frutto degli ultimi allargamenti a cui hanno preso parte paesi come la Svezia, la Polonia, l’Austria e l’Ungheria che hanno sposato un progetto senza avere una visione dell’integrazione europea ed in alcuni casi senza una condivisione di valori. Sembra quasi che l’adesione alla UE abbia portato ad una crescita dell’euroscetticismo. Oggi più che mai i governi che vogliono portare avanti il progetto di Schuman, Monnet e Spinelli devono chiedere un chiarimento sul progetto europeo agli altri paesi ed agli altri governi. Meglio andare avanti perdendo qualche Stato membro che rinunciare a cambiare ciò che non funziona per l’ansia di tenere tutti dentro. Certo il divorzio con Vienna potrebbe essere doloroso, l’Austria è un piccolo paese euroscettico che però forse per i suoi rapporti con il vicino tedesco ha optato per la moneta unica, ma prima o poi alcuni popoli europei devono scegliere cosa fare nel ventunesimo secolo
Salvatore Sinagra
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