Le parole d’ordine dei giovani e la politica (di Salvatore Sinagra)
Nel 2009 Matteo Renzi, divenuto sindaco di Firenze, lanciò una campagna contro l’establishment del Partito Democratico che indirettamente pose al centro del dibattito in modo vigoroso e fragoroso la questione generazionale, non solo nel suo partito, ma anche nelle altre forze politiche e nel paese.
Bisogna ammettere che la questione non era e non è infondata. Non solo i nostri politici non sono giovanissimi, ma l’intero paese sembra offrire pochi spazi ai giovani. È elevatissima l’età media degli uomini alla testa delle imprese italiane, sia grandi che a conduzione familiare. È elevatissima l’età media di coloro che svolgono le professioni liberali: avvocati, commercialisti, notai e farmacisti. Per di più l’Italia, insieme a Spagna, Portogallo e Grecia, si segnala nel novero dei paesi OCSE per l’altissima percentuale di neet, i giovani che non studiano, non svolgono attività di formazione e non hanno un lavoro.
Io oggi non voglio scrivere dei giovani big della politica nazionale, ma dei giovani che ho incontrato negli ultimi tre anni per le strade di Milano e Torino così il mio sarà un “racconto” più originale e non farò torto a nessuno visto che dichiaro subito la parzialità del mio contributo. In questo modo, però, cercherò di dare voce a chi ne ha meno degli altri.
Ma chi sono i giovani? Fino a quando si è ancora giovani? A trent’anni ti puoi sentire vecchio per cambiare vita; a cinquanta, soprattutto in Italia, puoi essere tranquillamente considerato un giovane politico. Qualche anno fa un mio collega che si occupa di affari societari mi fece vedere il curriculum di un “giovane” consigliere di amministrazione e mi disse “guarda, questo è un giovane”, io in modo provocatorio risposi “sì, ha l’età di mio padre”. Ammetto che l’ho sparata grossa, mio padre ha 9 anni in più di questo signore, ma volevo semplicemente sottolineare che per un ragazzo di 27 o 28 anni uno che va verso i cinquanta non è un giovane.
Tralasciando il relativismo, voglio raccontare qualcosa di tre giovani del mondo della politica: Raffaella De Marte, 32 anni, addetta stampa e social media manager del Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz; Manuela Conte, 40 anni responsabile del Partito Popolare Europeo per l’Italia; Matteo Mezzalira, 22 anni studente e giornalista pubblicista candidato al consiglio della regione Lombardia alle elezioni che si terranno domenica e lunedì prossimi.
Sono tre giovani europeisti, usano bene i social media, sono favorevoli alle energie rinnovabili. Per il resto sono tra loro molto diversi: qualcuno si definisce popolare, qualcuno progressista, qualcuno socialista; qualcuno fa o vuole fare il politico, altri lavorano per i politici.
I giovani non hanno tutti la stessa età! perché Manuela Conte ha quasi 20 anni in più di Matteo Mezzalira. Raffaella de Marte e Manuela Conte vivono a Bruxelles, sostengono che non c’è alternativa all’Unione Europea e che non avremmo neanche convenienza ad abbandonarla, ma affermano anche che bisogna cambiarla e pure in profondità. Manuela dice che un bilancio dell’Unione Europea che per metà finanzia l’agricoltura oggi non ha più senso, ma bacchetta gli enti locali italiani che comunque sprecano i fondi europei, talvolta rispondono con l’improvvisazione ai bandi, altre volte non riescono a fare di meglio che costruire aiuole o corsi di formazione di dubbia utilità. La sua visione “originale” emerge anche quando afferma di essere favorevole all’adesione della Turchia all’UE. Poi, quando Raffaella la pungola sulla questione dei diritti, replica che, ha poco senso parlare di difesa e promozione dei diritti in Europa, quando il budget dell’Unione finanzia in gran parte corsi di formazione e agricoltura.
Raffaella, invece, sottolinea che l’Unione Europea forse non sta rispondendo alla crisi, ma la colpa ricade in gran parte sui governi nazionali e giù un lungo elenco di posizioni ufficiali del parlamento europeo che si fermano alle frontiere nazionali: dall’introduzione della Tobin tax, alla condanna della speculazione finanziaria, alla necessità di una supervisione bancaria europea, al welfare. Con molta chiarezza afferma che spesso è la signora Merkel a battere i pugni sul tavolo, ma se non trovasse quasi sempre “compagni di viaggio” sarebbe costretta ad arrendersi.
Infine c’è Matteo Mezzalira, il più giovane dei giovani, a 22 anni ha deciso di candidarsi al consiglio regionale della Lombardia con la lista Lombardia Popolare nella circoscrizione di Como a sostegno di Umberto Ambrosoli. Matteo è tra i quattro quello che conosco meglio, l’ho incontrato a diverse iniziative pubbliche e ho ascoltato anche un suo intervento ad un incontro del Movimento Federalista Europeo, Matteo è un europeista convinto, che ha fatto esperienze internazionali con l’Erasmus e inter-cultura, ma che si interessa molto anche di vicende del suo territorio, per esempio di trasporto locale e dei problemi del lavoro in Provincia di Como. Crede negli investimenti in nuove tecnologie, formazione e banda larga e le sue proposte che mi hanno più interessato sono quelle relative al mercato del lavoro. Mi ha parlato a lungo di sgravi fiscali per chi assume i giovani e poi mi ha messo sul piatto il “patto generazionale”. A quel punto l’ho incalzato chiedendogli se non si trattasse della solita proposta generica (mi è capitato che tirassero in ballo i patti generazionali anche per la ristrutturazione di un immobile). Invece Matteo mi ha spiegato che lui e la sua squadra supportano l’introduzione e la diffusione del tutoraggio, ovvero un’esperienza lavorativa in cui un lavoratore prossimo alla pensione si occupa della formazione di un giovane.
La cosa interessante è che in Italia nel mercato del lavoro vi sono due categorie deboli: il giovane che cerca senza successo un lavoro stabile e l’anziano che se perde il lavoro rischia di non trovarlo più. In un paese in cui troppo spesso si è parlato di tutele che devono essere spalmate mi piace pensare che i deboli si uniscano per essere meno deboli e non cerchino di diventare forti mangiando gli altri. Il tutoraggio può essere assimilato ad esperimenti quali la job rotation che stiamo tentando, purtroppo con pochi risultati per ora, di importare da paesi con un mercato del lavoro di successo come l’Olanda e la Germania. Secondo il sociologo del lavoro Francesco Giubileo (anche lui è un giovane), tali interventi di investimento sul capitale umano sono stati determinanti per il “miracolo tedesco”; così mi piacerebbe si provasse concretamente a puntare sul tutoraggio, mi piacerebbe vedere tanti giovani cambiare il dibattito del lavoro, in modo che non si parli solo di come e quando licenziare, ma anche di come si può creare lavoro. I problemi del mercato del lavoro non si risolvono con un solo intervento legislativo, ma è chiaro che non si può nemmeno aspettare che la crisi finisca, il rischio è che tanti (soprattutto i giovani) si scoprano finiti prima della crisi.
Salvatore Sinagra
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