Le sanzioni alla Russia e le economie europee

Per capire se e quanto le sanzioni “stiano funzionando” bisogna innanzitutto capire cosa siano. Ora, queste sanzioni sono notoriamente di due tipi.

quelle finanziarie, che di fatto hanno estromesso la gran parte del sistema bancario russo dai flussi normali, reso molto difficile (eufemismo) la collocazione di debito pubblico sui mercati e congelato un bel po’ di quattrini, che probabilmente torneranno utili per la ricostruzione dell’Ucraina (a beneficio di aziende europee, UK e USA, of course: qui mica si frigge coll’acqua).

quelle commerciali e, di conseguenza, industriali, che sono le più complesse e forse anche le più significative.

Per capire queste ultime, bisogna partire da un dato fondamentale. E cioè che l’economia russa non è omogenea a quella europea. Anzi, potrebbe essere definita complementare. Gli idrocarburi formano più del 50 per cento dell’export. Sommando l’industria estrattiva delle materie prime, l’estrazione di preziosi, l’agricoltura, il legname e la siderurgia di base, arriviamo a circa il 78 per cento dell’export da settori a bassa tecnologia e valore aggiunto.

Vediamo ora l’export della Germania: è quasi interamente sovrapponibile, per tipologia, alle importazioni russe. Per tipologia, ma ovviamente non per quantità: la Germania esporta merci per un totale di 1.270 miliardi di euro, di cui 26,65 verso la Russia (appena il 2,5 per cento). Il totale delle importazioni russe è invece di 81,47 miliardi: circa un terzo viene dalla Germania.

Ora, le sanzioni colpiscono soprattutto le esportazioni verso la Russia: il valore delle esportazioni tedesche verso la Russia è crollato nel primo trimestre di quest’anno, anche considerando che per i primi due mesi non si sono state sanzioni. Le importazioni, invece, sono rimaste stabili e, anzi, in proiezione sono salite di valore, visto l’aumento dei prezzi di gas e petrolio.

 

A prima vista, dunque, sembrerebbe che a essere colpita sia soprattutto l’economia tedesca e, analogamente, tutte quelle che hanno imposto sanzioni: continuano a uscire gli stessi soldi (anzi, di più, ma ne entrano molti di meno). Peccato che le cose siano un po’ più complicate. L’FMI prevede una crescita non forte ma comunque netta per tutti i paesi occidentali, mentre per la Russia si anticipa un crollo da profondo rosso: -8,7 per cento (notare che queste stime sono state pubblicate il 20 aprile, proprio per tenere conto degli effetti della guerra e delle sanzioni). Ciò è dovuto alla diversa composizione delle economie occidentali rispetto a quella russa.

Le prime, come abbiamo visto, si basano su processi industriali ad alto valore aggiunto e contenuto tecnologico, possibili solo per pochi paesi al mondo e che producono beni difficilmente sostituibili. Non solo: in questi casi, la perdita di un mercato (che comunque è poca cosa) è facilmente sostituibile sia attraverso l’espansione in altri mercati, sia con misure a sostegno dell’economia. Per esempio, i famosi 100 miliardi per la Bundeswehr, tutti sostanzialmente destinati ad acquistare nuovi sistemi, pomperanno una ventina di miliardi all’anno soprattutto nelle industrie tedesche, ampiamente sufficienti a recuperare il mancato export. Non solo: in questo modo diventerà possibile sviluppare nuove tecnologie e know-how in un settore molto lucrativo per l’export. E quella per la difesa non è la sola misura autorizzata in questi mesi da Berlino. Ci sono altri 200 miliardi per la transizione verde da spendere in quattro anni in modo da creare una nuova infrastruttura energetica e favorire una drastica espansione industriale e tecnologica (i soldi arriveranno nel 2026, ma questo permette alle aziende di fare i conti e investire sul serio) e più di 100 miliardi di copertura per prestiti e fondi alle imprese, erogati attraverso l’istituto federale KfW. Insomma, la perdita dei mercati russi su prodotti tecnologicamente più che maturi diventa un’opportunità di investimento e sviluppo, che finirà per incrementare la competitività industriale tedesca.

Tutt’altro discorso per i russi: come ha paradossalmente mostrato proprio la riduzione dei volumi erogati da Nord Stream 1, hanno bisogno della tecnologia europea (tedesca) anche solo per pompare il gas. E non hanno capacità tecnologiche e industriali per sostituire i prodotti occidentali finora importati. Il problema non è soltanto per i beni di consumo, ma soprattutto per la produzione industriale e le infrastrutture: se importi componenti, veicoli, metallurgia avanzata, prodotti chimici e materiali plastici e un certo punto non ti arriva più nulla, tutte le tue filiere industriali entrano in crisi. La differenza sta anche nel fatto che le materie prime, e in particolare gli idrocarburi, hanno un rapporto prezzo/massa relativamente basso, per cui vanno movimentate in grandi quantità su infrastrutture pesanti per poter essere redditizie. I prodotti industriali, invece, sono fatti per essere trasportati in modo (relativamente) semplice in giro per il mondo.

Quindi, mentre l’Europa può trovare sostituti alle importazioni dalla Russia (come sta già facendo), il contrario è decisamente più difficile e molto costoso. Si tratta di quella che gli economisti chiamano “resource curse“: quando un’economia dipende troppo dalle materie prime, finisce per sviluppare corruzione e inefficienze e per restare indietro sullo sviluppo industriale e tecnologico. Un paese con un’economia del genere può nascondersi dietro alle cifre delle esportazioni, ai suoi armamenti e ai quattrini degli oligarchi. Ma solo fino a che qualcuno non viene a vedere il bluff.

Nane Cantatore (tratto da facebook)

(la foto di copertina è di Susan Q Yin on Unsplash)

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