Legge elettorale: meglio che niente
Il professor D’Alimonte ha fatto i calcoli e ha scoperto (articolo e tabelle pubblicati dal Sole 24Ore) che anche la legge elettorale che il Senato sta per esaminare e che, sicuramente, diventerà la legge elettorale con cui andremo a votare tra pochi mesi non risolve il problema della governabilità. Dai calcoli fatti emerge che una maggioranza certa possa essere raggiunta da chi riesca a prendere il 50% dei voti nella parte proporzionale e il 70% nel maggioritario. Cioè, in pratica, nessuno avrà la maggioranza grazie al voto degli elettori. Inutile proclamare che mai si faranno alleanze con questo e con quello perché con i risultati in mano o si scenderà a compromessi o si dovrà tornare a votare …. per sempre o, almeno, fino a che una lista non riuscirà a farsi votare da oltre il 50% degli italiani.
In pratica l’effetto del sistema elettorale che sta per essere approvato è quello di un proporzionale corretto con una modesta dose di maggioritario. Un problema? No di certo per chi si è battuto nel corso degli anni contro i sistemi maggioritari e per il ritorno al proporzionale. Ora in pochi parlano di governabilità, ma negli anni passati sembrava diventato il fulcro intorno a cui costruire le riforme del sistema politico democratico. Alla fine le riforme sono state fatte in un clima di crescente tensione che ha coagulato ogni tipo di opposizione verso il progetto della maggioranza e il 4 dicembre 2016 il discorso si è chiuso. Erano riforme ben fatte? Ai posteri l’ardua sentenza. Certo è che in quel clima politico e sociale era un’illusione pensare di forzare la mano all’elettorato giocando il tutto per tutto.
Ma torniamo all’oggi. La legge elettorale che sta per essere approvata è stata concordata tra la maggioranza e una parte rilevante dell’opposizione. Un’altra parte si è opposta aspramente con toni esasperati. Si è detto che è una legge che vuole colpire il M5S perché non vuole allearsi con nessuno e che mina la democrazia perché è stata approvata alla Camera con la fiducia (salvo il voto finale che è stato segreto). Ormai queste grida non fanno più effetto. Sono tanti anni che si ascoltano e l’Italia è sempre qui. Il vero problema è che è un Paese governato da istituzioni deboli perché le forze politiche sono frammentate e ogni componente pensa ai fatti suoi prima che all’interesse generale. Detto in altri termini manca sia una cultura civile che unisca la società intorno ad alcuni valori, sia una cultura di governo consolidata. Potrebbe essere questa debolezza il motivo dell’ostilità verso un sistema elettorale nettamente maggioritario e verso la governabilità. Poiché non ci si fida né delle forze politiche né delle istituzioni meglio mantenersi un potere di blocco.
D’altra parte da noi governi che durino più di due anni sono sempre stati quasi una rarità e ci siamo anche abituati agli scioglimenti anticipati delle Camere. È cosa logica invece che qualsiasi governo che non possa utilizzare il quinquennio della legislatura per realizzare il suo programma non può lavorare bene. La pressione o la minaccia di equilibri parlamentari e politici precari non sono mai la situazione migliore per combinare qualcosa di buono.
Il nuovo sistema elettorale si compone di una parte proporzionale (preponderante) e di una uninominale (cioè maggioritaria). Si voterà con una scheda sola e, quindi, non ci sarà il voto disgiunto tra candidato nell’uninominale e lista proporzionale. Chi voterà un candidato voterà automaticamente anche per la lista con la quale si è presentato cioè il voto varrà anche per la parte proporzionale. Molti hanno criticato il voto unico perché l’elettore potrebbe voler votare una persona, ma non la sua lista. Non sembra un gran guaio o una limitazione della libertà degli elettori. Per quale motivo si dovrebbe disporre di due voti e non di uno solo?
Si dice che anche con questa legge il Parlamento sarà composto di nominati. Ormai la parola “nominati” è diventata un contenitore nel quale ci si mette un po’ di tutto, mentre le preferenze sono invocate come espressione del diritto di scelta del cittadino. In teoria bisogna ammettere che il modo migliore per assicurare questo diritto è la preferenza espressa in un sistema proporzionale. In teoria, perché l’esperienza fatta per decenni ha dimostrato che il diritto di scelta si traduce in uno scambio tra voti e favori. Ventisei anni fa, infatti, dire preferenze significava dire corruzione e partitocrazia e gli italiani votarono contro le preferenze plurime in maniera massiccia. In realtà è difficile sostenere che i cittadini possano scegliere i propri rappresentanti senza passare dalla mediazione di un partito che decide di mettere in lista un candidato. Il sistema migliore che concilia tutte le esigenze è dunque quello basato sui collegi uninominali completato con il secondo turno di ballottaggio. Purtroppo le forze politiche non lo vogliono adottare e così restano le soluzioni di compromesso quale è la legge che il Senato esaminerà nei prossimi giorni. Meglio che niente
Claudio Lombardi
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