Legge sulla diffamazione: una buona occasione per colpire la libertà di informazione (di Claudio Lombardi)
La diffamazione da parte di chi dispone dei mezzi di comunicazione è una gran brutta cosa ed è giusto sanzionarla. Non con il carcere perché è evidentemente una pena esagerata rispetto alla violazione commessa. Più ovvio è replicare con pene pecuniarie e con rettifiche pubblicizzate con lo stesso risalto dato alla notizia diffamante. La rettifica, in particolare, è la risposta migliore perché mette in risalto un confronto dialettico fra diffamato e diffamatore in base al quale i lettori o gli ascoltatori possono farsi una loro idea. Anche la pena pecuniaria colpisce nel segno purchè, sempre, vi sia una proporzione non solo rispetto alla violazione commessa, ma anche rispetto all’effetto concreto della pena. Infatti, è ovvio che 50mila euro possono essere sopportabili da una grande azienda che produce informazione, ma sono una sentenza di morte per un piccolo notiziario o un sito internet.
La ragionevolezza dovrebbe guidare i parlamentari chiamati a modificare la legge sulla diffamazione che era ferma al carcere e per la quale il direttore di “Libero” Alessandro Sallusti è stato condannato a 14 mesi di reclusione.
Purtroppo la ragionevolezza non guida più da tempo i politici che siedono nelle istituzioni e in troppi si mettono a giocare con le parole del diritto come fosse un Lego nel quale loro possono fare quello che vogliono inventando le costruzioni più assurde al riparo del potere di cui sono investiti.
È tanto il rancore per una informazione che è diventata la spina nel fianco di chiunque abiti nei palazzi della politica. Come è stato nel caso della legge sulle intercettazioni anche in questa occasione troppi politici tentano di regolare i conti con chi è in grado di mettersi in contatto con l’opinione pubblica informando, indagando e orientando.
Certo tra chi fa informazione ci stanno tanti provocatori di professione, tanta gentaglia in vendita al miglior offerente che non ci pensa un attimo a stravolgere la realtà e a falsificarla pur di servire il padrone di turno. Contro questa gente l’arma migliore è smascherarli togliendo loro la credibilità che pensano di avere. Per farlo, però, è necessario che l’informazione sia libera e che non operi sotto il ricatto di pene così pesanti e di regole così arbitrarie da togliere la voglia di produrre informazione a tutti quelli che non hanno un padrone ricco che li copre.
Così, la legge repressiva concepita in maniera bipartisan in Senato (e che adesso sta cambiando sotto la pressione dell’opinione pubblica), favorisce(va) proprio i malfattori al soldo di padroni ricchi e potenti. Quasi una legge ad personam si potrebbe dire. E proprio in un momento in cui c’è un enorme sviluppo del pluralismo grazie all’uso di internet. È come se questa legge volesse tornare ad un mondo dominato da poche aziende editoriali che monopolizzano l’informazione e la tengono sotto stretto controllo.
Quale altro risultato poteva raggiungere una legge che faceva pagare pene di 100mila euro più i risarcimenti per le vittime, più l’interdizione dalla professione giornalistica, più la chiusura dei siti e dei blog ? Facendo finta di migliorare la situazione si mirava a colpire i più deboli o quelli più impegnati nel lavoro di indagine e di ricerca.
Già il fatto che una legge così sia arrivata a un passo dall’approvazione indica che c’è una casta di politici che usa il potere per difendere sé stessa e i suoi protetti. Travolta da innumerevoli scandali, scoperte le ruberie, i raggiri, le truffe, l’assalto al denaro pubblico, l’uso privato del potere pubblico la casta reagisce come può e fin che può. Senza vergogna e senza ritegno.
La legge sta già cambiando e, per fortuna, questa classe politica è in scadenza, anzi, è già scaduta.
Claudio Lombardi
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