L’Europa oltre la svolta del Recovery fund

Dopo oltre quattro giorni di incontri il vertice europeo dei capi di stato e di governo si è concluso con un accordo sul Recovery fund non molto lontano dal punto di partenza. Un complicato mix di decisioni che dovrà salvare la faccia a tutti i governi consentendo loro di presentarsi davanti alle rispettive opinioni pubbliche rivendicando una vittoria.

La vera vittoria però è di chi ha concepito una strategia che prefigura una nuova Europa. Francia e Germania ne sono i veri artefici e hanno messo le basi perchè si arrivasse alla proposta della Commissione e al programma politico che ne è il presupposto.

La decisione storica di attivare un debito comune per erogare risorse in maniera differenziata ai singoli paesi in base alle diverse necessità e nel quadro degli obiettivi comuni indicati dagli accordi e dai progetti votati dalla Commissione e dal Parlamento europei è un cambiamento che indica una via nuova per l’Europa.

Per la prima volta si realizza l’utopia di un debito condiviso il cui ricavato viene suddiviso in base ad esigenze riconosciute come comuni, la prima delle quali è sostenere i paesi che rischiano di scivolare indietro mettendo a rischio la costruzione europea. Che l’Italia non collassi finanziariamente è un interesse della UE e non solo dello stato italiano per esempio. Che gli investimenti per la digitalizzazione si realizzino è un interesse comune. Che l’impatto ambientale delle attività produttive e della vita quotidiana sia ridotto riguarda tutti. Che si riducano le diseguaglianze serve a mantenere la coesione sociale e riguarda tutti i paesi che fanno parte dell’unione.

CONSIGLIO EUROPEO

Erano obiettivi fissati all’atto dell’insediamento della nuova Commissione europea diretta da Ursula von der Leyen prima della pandemia e sono ancor più validi adesso. Il Covid ha messo a dura prova la resistenza delle economie e delle società civili dei paesi europei e, colpendoli, li ha indeboliti. Chi più, chi meno. La Germania, per esempio rientra in quest’ultimo caso; l’Italia e la Spagna nel primo.

Nei quattro giorni di vertice sono, però, venuti al pettine i nodi di una unione che da sempre ruota intorno agli accordi intergovernativi. Se l’Olanda ha potuto richiedere il diritto di blocco da parte di un singolo governo sui finanziamenti erogati ad un altro paese lo si deve all’esasperazione della dimensione intergovernativa. In realtà proprio l’idea di un Recovery fund basato sull’emissione di titoli europei mette in risalto l’esigenza di una governance comune diversa dai governi dei paesi dell’unione. Commissione e Parlamento ne sono i pilastri portanti ed è ora che si riconosca a queste istituzioni europee, una di nomina governativa e l’altra eletta direttamente dai cittadini europei e legate dal voto parlamentare che ratifica la Commissione, la centralità che è necessaria per il buon governo dell’Europa.

Bisogna dire che questa centralità sta emergendo in maniera evidente perchè si sta affermando una volontà politica nei maggiori partner dell’Unione di porre mano ad un ridisegno della politica europea rispetto alla quale il Recovery fund non può che essere il punto di partenza.

Uno dei maggiori nodi che appare sempre più difficile da sciogliere è quello di alcuni dei paesi ex socialisti dell’est che da tempo mostrano di non essere interessati al progetto europeo, ma solo ai finanziamenti che arrivano da Bruxelles.  Tanto interessati ai soldi quanto sovranisti ed anti europei nel campo delle libertà e del rispetto della democrazia e non si vede come possano invertire questa tendenza. Di fatto, per i paesi del gruppo di Visegrad il progetto europeo non esiste. Così però non si può andare avanti. È arrivato il tempo di porli di fronte ad una scelta. Se sono interessati ad un mercato comune li si accontenti, ma non si vede perché continuare a riversare risorse europee nei loro bilanci.

Gli equilibri mondiali scossi dalla pandemia mostrano l’assoluta necessità di un’Europa potenza economica, politica e militare. Una necessità per la stabilità dei singoli paesi che la compongono ognuno dei quali se fosse da solo non potrebbe resistere di fronte alla pressione dei pesi massimi che agiscono sulla scena internazionale: Usa e Cina innanzitutto. E una necessità per l’evoluzione dei rapporti con il Medio Oriente e con l’Africa. Già troppi danni sono stati fatti perchè gli stati europei sono andati avanti ognuno per conto suo in quei contesti. Danni e nessun vantaggio per l’Europa nel suo complesso.

Per questo serve una nuova Europa più ristretta, ma molto più compatta. Oggi è un nano politico in ambito internazionale, un insieme di 27 paesi eterogenei che non riescono a decidere e che si muovono lentamente. Legare i più rilevanti in un progetto europeo più determinato e chiaro potrebbe servire ad essere il motore di un mercato comune anche più vasto di quello attuale che è limitato dall’esigenza di esprimersi solo attraverso l’adesione all’Unione. Un’ Europa più forte ed influente alleata, ma autonoma dagli Stati Uniti.

Germania e Francia hanno avvertito l’esigenza di questa nuova Europa e hanno utilizzato il loro peso per prenderne la guida. E’ arrivato il tempo di un impegno serio in questa direzione per tutti.

L’Italia è stata al centro del vertice europeo più come problema che come soluzione. Si è percepita la diffidenza nelle sue capacità di stare al passo con gli obiettivi e di utilizzare correttamente i fondi che le sono stati assegnati. I meccanismi di sorveglianza che sono stati decisi hanno guardato soprattutto all’Italia e sarebbe disastroso se le forze politiche e gli stessi italiani non capissero che non sta arrivando una pioggia di miliardi per coprire tutti gli sprechi e i capricci ai quali siamo stati abituati per decenni. Stavolta si fa sul serio. Le istituzioni europee i partner dell’unione si sono dotati degli strumenti per bloccare i finanziamenti se i patti non fossero rispettati. E comunque i fondi non arriveranno prima di aprile 2021. Se l’Italia vuole fare sul serio i prestiti del Mes vanno presi subito. Altrimenti il messaggio sarebbe che l’Italia per una stupida impuntatura di alcuni partiti preferisce sprecare 500 milioni l’anno di interessi. Perchè, sia chiaro, quei 37 miliardi in prestito li prenderemo comunque.

La sfida è stata lanciata per l’Europa del futuro. L’Italia dovrà esserci e non potrà farlo ripetendo gli stessi schemi del passato. Anche stavolta sarà la spinta esterna a trascinarci?

Claudio Lombardi

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