Liberare i tempi della città, creare lavoro (di Lapo Berti)
Quando si parla di liberalizzazioni, l’abbiamo visto anche in queste settimane, al centro dell’attenzione ci sono sempre le rumorose minoranze che dall’apertura dei rispettivi mercati, dall’eliminazione dei lacci e lacciuoli, di cui parlava Guido Carli tanti anni fa, si aspettano una riduzione se non l’azzeramento dei loro privilegi, delle loro rendite, dei loro vantaggi. Quasi mai si parla di coloro che dalle liberalizzazioni potrebbero ottenere vantaggi e miglioramenti delle loro condizioni di vita, i cittadini in quanto consumatori e utenti; pressoché mai si dà loro la parola.
A colmare questa lacuna, giunge ora un libretto fresco non solo di stampa, ma anche di idee e di scrittura: “Liberalizzaci dal male. Orari, mercato del lavoro, trasporti-reti: come, quando, chi, dove e perché”, Rubbettino editore (2012). L’autrice, Benedetta Cosmi, una giovane scrittrice, non ancora trentenne, esperta di comunicazione e con già alle spalle un breve ma vivace curriculum, ci mostra, in maniera accattivante e convincente, come, con un po’ di fantasia e con il coraggio di uscire “dal contingente, dall’emergenza, dall’eccezione, dal fatta la legge trovato l’inganno, da due pesi e due misure”, un po’ più di libertà e flessibilità nell’organizzazione degli spazi e dei movimenti potrebbe creare posti di lavoro e rendere più ricca e meno faticosa la vita dei cittadini. La Cosmi vorrebbe che, per una volta, fossero i lavoratori, i cittadini, gli utenti, i turisti, a scrivere l’agenda delle riforme e delle liberalizzazioni, a partire dalle loro esigenze.
Un tema su tutti: gli orari delle città, quasi sempre assurdi, quasi mai dettati per adeguarsi alle esigenze dei cittadini e agevolarne la vita. Tanti luoghi, come le biblioteche, i musei, le banche o gli uffici pubblici sono aperti quando chi avrebbe bisogno di andarci è al lavoro. Quanto costano alle aziende e ai lavoratori tutti i permessi richiesti per poter accedere a quei luoghi, per eseguire operazioni o seguire pratiche, le quali, sia detto di passaggio, in molti casi potrebbero essere affidate a servizi on-line e lo sono ancora in misura spaventosamente limitata?
Ma questo è il paese in cui un comune può emettere un’ordinanza per imporre a barbieri e parrucchieri di tenere aperto solo la mattina. La Cosmi cita in proposito la lettera aperta di un gruppo di giovani barbieri e parrucchieri che chiedono la libertà di tenere aperti i propri esercizi in nome di un principio sacrosanto che nel nostro paese è sistematicamente ignorato: “Noi dobbiamo ascoltare la gente, esserci quando il cliente ce lo chiede, e invece ad oggi fare questo vuol dire essere fuori legge”. In Italia, come tutti sappiamo, vengono prima gli interessi delle lobby, dei gruppi, anche di lavoratori, che sanno farsi valere, specialmente nel mondo dei servizi, e buon ultimi, oltraggiati e sbeffeggiati da tutti, i cittadini.
E’ uno schema da cui bisogna uscire. Occorre affrontare la pianificazione strategica degli orari delle città, per fare in modo che lo spazio urbano sia fruibile sulla base delle nuove abitudini di chi la abita permanentemente, i residenti, o transitoriamente, i turisti. Nell’era del turismo low cost, fatto di soggiorni fugaci, è impensabile ed economicamente masochistico che si debba impiegare un giorno per accedere a un museo. Ma anche i cittadini che escono dagli uffici e trovano i negozi chiusi soffrono per la stessa miopia commerciale e regolamentare.
Un ripensamento degli orari della città che riconosca e generalizzi abitudini e comportamenti che già esistono, argomenta fiduciosa la Cosmi, non solo renderebbe la vita migliore, ma offrirebbe opportunità di lavoro ai tanti che oggi invano lo attendono, magari con qualche sacrificio nell’organizzazione del proprio tempo, ma sarebbe comunque l’avvio di un processo di recupero al lavoro di fasce ampie di giovani oggi senza futuro.
I giovani, la loro condizione, il loro futuro, sono al centro delle riflessioni della Cosmi. Il suo libro è un solo appassionato pamphlet in difesa dei giovani e del loro diritto ad avere un futuro, ma è anche, inevitabilmente, una critica feroce dell’immobilismo che caratterizza il nostro paese a tutti i livelli, dell’egoismo che infetta tutti fino al punto che gli stessi genitori non si rendono conto che la difesa a oltranza dei diritti acquisiti e delle rendite di posizione di cui magari godono condanna i figli alla resa e all’inattività. E’, inevitabilmente, un paese che non trova motivazioni sufficienti per investire nel sapere dei giovani, per accrescere il loro capitale umano. Il nostro paese è “L’unico paese che non ha luoghi di cultura aperti, nelle ore dei giovani!”.
In fondo, il punto della Cosmi è semplice, come sempre sono semplici le proposte rivoluzionarie. Si tratta, molto banalmente, di mettere d’accordo una domanda di servizi e di spazi fruibili, che va ben oltre gli orari canonici, con un’offerta di lavoro, specialmente giovanile, che stenta a trovare le vie dell’occupazione nella foresta pietrificata del nostro mercato del lavoro. I giovani sono disposti a lavorare in orari “scomodi”, se a questo si accompagna una maniera tutta nuova e più libera di vivere gli spazi della città, finalmente aperti alle loro esigenze. Ma, come tutte le cose semplici, questa rivoluzione è più facile a dirsi che a farsi. Contro di essa si ergono le barriere di un consolidato sistema d’interessi, che spacca anche il mondo del lavoro e, soprattutto, ha creato un modo di pensare che è pregiudizialmente ostile al cambiamento, all’apertura dei mercati, alla competizione e, spesso, si nasconde dietro la giusta, sacrosanta tutela dei diritti dei lavoratori per proteggere vantaggi e rendite di ogni genere.
Lapo Berti da www.lib21.org
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